COME UN GATTO IN TANGENZIALE
tintarella.
Coccia di Morto, comune di Fiumicino ma litorale romano, è uno di quei toponimi (nomi di luoghi, li elencò Ennio Flaiano) legati a cupe storie romanesche di secoli fa: Infernetto, Femmine Morte, Fosso dell’ammazzato, Malpasso. Chissà quando lì venne trovata una «coccia» (testa, in vernacolo) di un morto. E così si chiamò. Ogni estate migliaia di romani approdano lì. La scena di «Come un gatto in tangenziale» è famosa: la romana Monica (Paola Cortellesi) invita Giovanni (Antonio Albanese), abituato a Capalbio, proprio lì, a Coccia di Morto.
Il regista Milani (classe Tra le scene cult di Come un gatto in tangenziale c’è quella in cui Albanese e Cortellesi portano i figli a Coccia di Morto. 1958) ha bei ricordi: «Coccia di Morto fa parte della mia infanzia e della mia adolescenza. Sono cresciuto ad Ostia dove papà e mamma mi portavano in vacanza da giugno a settembre. Prendevamo una casa in affitto e l’estate per me era Ostia e tutti i luoghi vicini, compreso Coccia di Morto. Mi piaceva tanto per il nome, come Testa di Lepre, Passoscuro, vagamente inquietanti, però divertenti. I luoghi magici dove la sera o all’alba accompagnavo i bagnini, che di notte facevano i pescatori più o meno legali».
Ai tempi, racconta, era diverso: «Già allora, come oggi, era terra senza regole, quasi in abbandono. Ma era il mare di molti romani che sentono loro quelle spiagge senza manutenzione, e spesso le difendono, anche se molto meno belle di altre, perché a costo zero. Fa impressione vedere come la gente faccia l’abitudine a tutto e passi sopra a spazzatura e balneabilità discutibile. Ma ancora di più sapere che nessuno intervenga per migliorare luoghi che per il solo fatto di essere alla portata di tutti non devono certo essere abbandonati, diventando pericolosi per la salute». In quanto al film? «Dovendo trovare due luoghi simbolo di identità sociali e culturali opposte, cercavamo un posto che fosse l’antitesi delle spiagge selvagge ma tenute