1988 Sogni a occhi aperti nella notte di Ferragosto
La nostra storia L’estate del ‘29 accampato in montagna, ascoltando i mortaretti della festa che risuonavano dal fondo della valle E il ricordo di dieci anni prima, quando da ragazzino sulla spiaggia di Viareggio conobbe Alberto Moravia, «magro, serio e
N el 1929, la notte di Ferragosto era luna piena. Ma, oltre i duemila di altitudine dove eravamo arrivati col campo, l’umidità dell’aria era nulla e il cielo così limpido che la grande luce lunare traspariva senza il più lieve velo di foschia: tutte le stelle sfavillavano vive, quelle delle costellazioni vicine e riconoscibili e le altre, lontanissime, tremanti, ignote, infinite... Ah, e questi, sì, erano del Paradiso, veri versi di Dante che allora mi tornavano a mente: Quale ne’ pleniluneii sereni Trivia ride tra le ninfe etterne che dipingon il ciel per tutti i seni...
Seguitando a guardare il cielo, cominciai a spostarmi ogni passo di qua, di là, per individuare più in fretta le costellazioni. Avanzavo sulla pista di una carreggiata
Lo sguardo al cielo
«Tutte le stelle sfavillavano vive, quelle delle costellazioni vicine e le altre, lontanissime, tremanti, ignote, infinite...»
chiamava ancora Moravia, e io sapevo soltanto che il suo nome era Alberto, e lo chiamavo Alberto senza preoccuparmi di conoscere il cognome. Eravamo ragazzini: lui dodici anni, io tredici; oppure lui tredici e quattordici io. Ma come avrei mai potuto, in quel tipo magro, pallido, serio, diffidente, di poche parole, prevedere un futuro scrittore?
Di poche parole, non lo posso nemmeno dire. Ricordo però, con certezza, che ci scambiavamo soltanto poche parole. Seduti tutti e due sulla sabbia e in mezzo a tanti altri ragazzini più o meno della nostra età, si chiacchierava all’ombra di una cabina dopo che io avevo dato, a tutti, uno spettacolo di marionette. Con tende e asciugamani appesi davanti e dai lati, avevo facilmente trasformato il terrazzino della mia cabina in palcoscenico, provveduto come potevo a una scena e perfino al sipario ma soprattutto a inchiodare un pesante tappeto rettangolare sui due pali che reggono la tettoia, così da nascondermi totalmente al pubblico di ragazzini e bambini che, seduti sulla sabbia a gambe incrociate, assistevano gratuitamente allo spettacolo. Mi ero esercitato a manovrare gli spaghi; facevo camminare, correre, saltare, gestire le marionette e tutto questo con un solo aiutante improvvisato, al quale affidavo i personaggi meno importanti, quelli che si muovevano meno. Le voci, tutte io. Ero anche l’autore della farsa, ma senza scriverla. Il protagonista, Gianduia, naturalmente, lo facevo parlare in piemontese...
Oh, non credo che Alberto si ricordi, è molto probabile che le mie farse non lo divertissero, doveva essere molto più precoce di me e di tutti gli altri che ridevano senza tregua e applaudivano ogni volta con entusiasmo. Ma Alberto... Alberto, due o tre anni dopo, leggeva di già Dostoevskij!
Come diceva Cardarelli in una delle sue non poche pagine memorabili, la precocità letteraria appartiene all’alta borghesia. E Moravia, dopo aver superato una malattia lunghissima che a volte gli impediva di frequentare le scuole regolarmente e dopo aver vinto, infine, una cura sbagliata che lo aveva ridotto tra la vita e la morte, a diciotto anni già incominciava a scrivere Gli indifferenti! Lo finì e lo pubblicò a ventidue, nel 1929: la casa editrice Alpes di Milano voleva un contributo di cinquemila lire; Alberto le chiese in prestito a suo padre, e pochi anni dopo fu in grado di restituirle.
(...) ● Soldati ha avuto sei figli: Frank, Ralph e Barbara nati dall’unione con Marion Rieckelman; Wolfango, Michele e Giovanni con l’attrice Giuliana Kellermann