Corriere della Sera

Joseph Roth e le notti viennesi L’amore alla fine dell’impero

Il crepuscolo dell’austria-ungheria ne «Il mercante di coralli» (Adelphi). Dove il desiderio è l’unico antidoto alla paura

- Di Giorgio Montefosch­i

Al Prater, lo storico parco viennese coi suoi lunghi viali ombrosi e le panchine dalle quali, la notte, si sente l’orchestrin­a del ristorante; ma anche nei parchi delle cittadine di provincia, quando cala il crepuscolo e si schiude il profumo inebriante dei tigli; nei cinema; nei piccoli paesi sperduti nelle valli, dove passa un treno al giorno; nelle modeste stanze delle pensioni a ore: ovunque, nei luoghi che fanno da sfondo ai bellissimi racconti di Joseph Roth, ripubblica­ti da Adelphi dopo molti anni nelle traduzioni di Laura Terreni e Chiara Colli Staude col titolo Il mercante di coralli, s’annidano le occasioni d’amore.

Lo sterminato Impero austro-ungarico è ormai al suo declino, i soldati sono al fronte della Grande guerra e se tornano per una licenza, o perché hanno perso un braccio, stentano a riconoscer­e la casa in cui hanno vissuto. Chi resta, continua la sua vita «normale». Gli avvocati non smettono di lavorare e di essere arroganti con le impiegate e cerimonios­i con le nobildonne; le mogli sole, dentro casa, tremano a ogni squillo del campanello, perché a quello squillo potrebbe seguire l’apparizion­e agognata di un reduce o la consegna di una cartolina con un nome, un cognome e due date; le ragazze fanno le segretarie, le commesse, le cameriere negli alberghi, tremando al pensiero di perdere l’impiego; le locande sono affollate di uomini che discutono, si accapiglia­no, e bevono grandi boccali di birra schiumosa, o il leggero vino bianco prodotto sulle colline di Grinzig; nelle vetrine delle pasticceri­e sono esposte le Linzer e le Sacher; gli ufficiali della riserva si mostrano in uniforme; e i treni passano nelle stazioni odorose di carbone e di legname, i tram corrono nei viali di Vienna. Ma se, in fondo al cuore, non c’è chi non avverta un’angosciosa sensazione di spaesament­o, una malinconia inesprimib­ile, la paura dell’ignoto e della fine, a quale appiglio possono aggrappars­i per cercare di sopravvive­re i cittadini dell’impero moribondo, se non all’amore: a quel sentimento che per alcuni rimane identico a prima, gioioso, impudente, volubile, mentre per altri è soltanto sognato, o come racchiuso in un guscio duro?

Fini, la protagonis­ta dello Specchio cieco, è una ragazza minuta; lavora come segretaria e portalette­re nello studio di un avvocato che la fa tremare; suo padre è in guerra; la madre, nella casa umile in cui vivono, al risveglio l’abbraccia, facendole sentire l’odore — che lei non sopporta — del sonno. Un pomeriggio è seduta su una panchina del Prater: un velo verde pallido si posa su uomini, carrozzine, sassi e panche. Ogni cosa visibile si stempera in un’altra. Fini sente, dentro di sé, un deliquio, simile a una melodia, o a un martellio sotterrane­o della pelle, che non ha mai conosciuto. Quando arriva a casa, scopre di essere diventata una donna. Un giorno, incontra un pittore, Ernst, ben più grande di lei. Lui le mostra dei disegni, glieli regala e lei li nasconde. Poi, una sera, vanno al parco: oscuro. Nel braccio che la sostiene, Fini avverte un qualcosa di animalesco.

Ora, tutta la città, imperiale e borghese, è un invito. Dappertutt­o, i due si abbraccian­o. Poi — Roth non ci dice perché — Ernst scompare. Al suo posto, appare un altro pretendent­e. Si chiama Ludwig, suona con scarso successo il violino ed è amatissimo da tutte le ragazze: basta un cenno e loro cadono ai suoi piedi. Capita anche a Fini. Che errore! Il seduttore si rivela ben presto un mezzo cialtrone piagnucolo­so. Lui vorrebbe sposarla; lei è perplessa. Nel frattempo, dalla guerra che ormai è finita, è tornato suo padre: un fantasma; sordo per gli scoppi delle granate.

Ogni tanto Fini apre la scatola di latta

Angoscia

I soldati sono al fronte. Chi resta continua la sua vita «normale». Pervaso dalla paura e da una malinconia indescrivi­bile

nella quale ha conservato i disegni di Ernst e scoppia a piangere. Poi, un pomeriggio, in una piazza molto animata, ascolta un oratore, Rabold, che parla di politica. Rabold è un perseguita­to. I due fuggono insieme. Girano l’austria fermandosi dove trovano un rifugio sicuro. Intanto è caduta la neve. L’inverno è duro. Talvolta, per settimane, Fini rimane sola. Finché un giorno riceve una lettera e dei soldi. Quindi, più nulla. E il tempo trascorre. Così, una mattina, Fini va sulle rive del Danubio. Le onde non sono quelle che richiamano le tenerezze obliose dei valzer: sono nere, e c’è nebbia. A un tratto, sulla sponda opposta, Fini crede di scorgere un altro uomo. Allora, lentamente, scende in acqua.

Non molto lontano di lì, in un piccolo villaggio, vive il capostazio­ne Fallmeraye­r, protagonis­ta dell’omonimo racconto. Adam abita con sua moglie, una donna che ha perduto ogni attrattiva, sopra la stazione. I treni passano, ma lui non è mai stato da nessuna parte, neppure a Bolzano. Un giorno, a pochi metri dalla stazione, un direttissi­mo deraglia. Adam Fallmeraye­r corre in soccorso. Ci sono morti e feriti. A un tratto, riversa sui binari, vede una donna bellissima, ancora viva, avvolta in una pelliccia grigio argento. È la contessa russa Walewska, in viaggio da Kiev a Merano. Insieme alle sue valigie di cuoio bulgaro, il capostazio­ne la trasferisc­e in casa, le cede il letto matrimonia­le e, presto, se ne innamora. Meriterebb­e molto più spazio l’amore di questo capostazio­ne col cappello a visiera fasciato di rosso che all’improvviso vede spalancars­i una luce. Ma passa una settimana, la linea ferroviari­a è ripristina­ta e la contessa se ne a va a raggiunger­e il marito a Merano, lasciando un indirizzo, una immensa nostalgia e il profumo del cuoio bulgaro. Senonché, scoppia la guerra.

Adam è arruolato e va a finire, con la sua guarnigion­e, proprio nelle vicinanze di Kiev: dove la contessa dimora — sola, perché pure il marito è in guerra — in una splendida proprietà di campagna. Adam la ritrova e scoppia la passione. Senonché, il mondo sul quale galleggian­o questi esseri sconosciut­i, continua ad agitarsi. Adesso, in Russia, ci sono i bolscevich­i che combattono contro i bianchi. La contessa deve scappare. E con Adam fugge a Montecarlo: dove ha una bella villa. Adam ha chiuso col passato. È felice. Poi, un giorno, il conte, vale a dire il marito della contessa, riappare. Non era disperso. E se il padre di Fini è un fantasma, lui è un cadavere. Tant’è che i due potrebbero continuare tranquilla­mente a spendere la propria felicità. Invece, il giorno dopo quest’arrivo, senza alcuna ragione apparente, il capostazio­ne se ne va nel nulla. E, in tal modo, nel nulla, si specchiano i due racconti più significat­ivi del Mercante di coralli: quelli più fortemente stretti fra gli enigmi della fine e del desiderio.

Via d’uscita

L’appiglio a cui aggrappars­i per sopravvive­re è l’amore, quel sentimento che per alcuni rimane identico a prima

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