Corriere della Sera

Il narratore detenuto che seduce i critici

Nico Walker, reduce decorato dell’iraq, condannato a 11 anni per rapina, è l’autore di «Cherry»

- Dalla nostra inviata Marilisa Palumbo

NEW YORK Nico Walker ha 33 anni e Cherry, il suo primo romanzo, è uscito ieri negli Stati Uniti accompagna­to da recensioni esaltanti. Ma lui non potrà viaggiare per promuoverl­o, fatica anche a dare interviste: è in una prigione federale del Kentucky, dove sta scontando una condanna a 11 anni per rapina. Cherry l’ha scritto con una macchina da scrivere, circondato da decine di altri detenuti.

Dentro la storia del protagonis­ta senza nome c’è tutta la sua vita: cresciuto in una famiglia benestante e accudente, ex paramedico pluridecor­ato dell’esercito, duecento missioni nel periodo passato in Iraq tra il 2005 e il 2006, diverse medaglie al valore e, al ritorno, l’abisso nel quale sono caduti tanti suoi commiliton­i, il trauma di una intera generazion­e di americani passati tra Bagdad e Kabul. Le notti insonni ricordando i corpi dei compagni a brandelli, gli attacchi di panico, il rifugio nell’alcol e poi piano piano negli oppioidi, fino all’eroina, comprata grazie alle rapine in banca: undici in quattro mesi, avrebbe poi confessato.

In Cherry la vita al fronte scorre tra lunghi periodi di noia, film porno, attimi di panico, insensati atti di crudeltà contro la popolazion­e locale, terrore degli ordigni esplosivi piazzati per le strade dagli iracheni. «Facevo un sacco di flessioni — dice il narratore — ero molto bravo. La maggior parte di noi lo era. Se gli esiti di tutte le guerre fossero decisi dalle flessioni e dalle chiacchier­e inutili, l’america non perderebbe mai». Al ritorno, il buco nero della dipendenza sembra quasi peggio del campo di battaglia, una vita che era solo «una lenta morte». E rubare, rispetto alla guerra, «è un gioco da ragazzi».

«Cherry è il primo grande romanzo dell’epidemia di oppioidi», ha scritto il «New York Magazine» riferendos­i all’emergenza che come una peste sta infestando gli Stati Uniti. Per il «Washington Post» è sempliceme­nte «un miracolo di serendipit­y letteraria, un trionfo nato dalla violenza e dalla sofferenza».

Le recensioni «Grande romanzo sull’epidemia di oppioidi». «Miracolo nato dalla violenza»

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