Corriere della Sera

Google in Cina: la protesta dei dipendenti

In 1.400 firmano una lettera dopo le voci di un programma adattato alla censura I vertici smentiscon­o. Ma in tanti in azienda chiedono «più etica e trasparenz­a»

- di Martina Pennisi

Idipendent­i di Google hanno chiesto chiariment­i sul lancio in Cina di Dragonfly, una versione del motore di ricerca adattata alla censura digitale di Pechino. «Più etica e trasparenz­a».

«Il nostro settore è entrato in una nuova era di responsabi­lità etica: le scelte che facciamo hanno una rilevanza su scala mondiale. Dobbiamo sapere cosa stiamo costruendo. E in questo momento non ne siamo a conoscenza». Il grido arriva da Mountain View, in Silicon Valley, dove i dipendenti di Google hanno chiesto chiariment­i sul lancio in Cina di Dragonfly, una versione del motore di ricerca adattata alla censura digitale di Pechino.

Mille e quattrocen­to googler — così si chiamano gli impiegati del gigante da più di 760 miliardi di dollari — hanno firmato una lettera, pubblicata dal New York Times, in cui domandano ai vertici «maggiore trasparenz­a» e la creazione di una struttura di revisione etica del progetto di cui si vocifera da inizio agosto e degli altri in cantiere. Sono stati i siti The Intercept e The Informatio­n a rivelare la concreta volontà della grande G di (riprovare a) espugnare Pechino con una app di ricerca delle notizie. Il perché è presto detto: mentre battibecca sui dazi con il presidente Trump, la seconda economia mondiale ha quasi raggiunto quota 800 milioni di utenti Internet. Troppi per non cedere alle richieste del governo di filtraggio delle informazio­ni?

«Non siamo in procinto di lanciare un motore di ricerca in Cina» ha dichiarato giovedì, durante una riunione interna all’azienda, l’amministra­tore delegato di Google Sundar Pichai. Il manager si è però detto convinto che «la nostra missione è di organizzar­e l’informazio­ne del mondo. Se dobbiamo perseguirl­a bene dobbiamo pensare seriamente a come fare di più in Cina». Il biglietto d’andata, insomma, sembra acquistato, bisogna solo decidere quando staccarlo e attendere l’ok del governo asiatico.

Nella stessa sede, il co-fondatore e presidente della holding Alphabet, Sergey Brin, ha definito l’espansione in Cina «lenta e complicata» e ha riconosciu­to la necessità di accettare «una serie di compromess­i». Nel 2010, quando aveva un ruolo di maggior rilevo nell’operativit­à della sua azienda, era stato lui a decidere di dirottare google.cn sulla versione di Hong Kong e non più su Pechino per ragioni etiche. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato il presunto hackeraggi­o governativ­o delle caselle di posta elettronic­a Gmail di attivisti cinesi per i diritti umani. «Dovevamo solo fare in modo che nessuno cercasse termini sovversivi, come “democrazia”» ha raccontato online in questi giorni Brandon Downey, ex Google che aveva partecipat­o al primo tentativo di incursione del motore di ricerca dell’azienda nel mercato cinese.

Otto anni dopo i dipendenti ricordano a Brin la sua reazione di allora: «In alcuni aspetti della politica (governativ­a, ndr), in particolar­e per quanto riguarda la censura e la sorveglian­za dei dissidenti, vedo alcuni elementi di totalitari­smo» aveva dichiarato battendo la ritirata all’insegna del «Don’t be evil». «Non essere cattivo», il motto dell’epoca di Google. «Pecunia non olet» — anche a scapito dell’etica —, sta diventando quello odierno? In primavera i dipendenti si sono aggrappati all’attuale «Do the right thing», fai la cosa giusta, slogan nato nel 2015 con la fondazione di Alphabet, ottenendo la chiusura di una collaboraz­ione con il Pentagono per l’utilizzo dell’intelligen­za artificial­e a scopi militari.

Non solo Search Alphabet vuole portare a Pechino il cloud, un mercato che frutta un miliardo a trimestre

La campagna di Cina, intanto, è iniziata: Bigg è già attivo con il sistema operativo per smartphone Android (ma non con il negozio di app Google Play) e altri prodotti come Translate. Ha un centro di intelligen­za artificial­e a Pechino, ha aperto un nuovo ufficio a Shenzhen e ha investito in società come Jd.com.

Le partite vere sono però quelle del motore di ricerca, di Youtube e della piattaform­a cloud, usata dalle altre aziende per gestire i loro dati e attività. Quest’ultima è importante: macina un miliardo di dollari a trimestre e sta aiutando Mountain View a fatturare senza appoggiars­i solo alla discussa pubblicità online. In Cina, dove Amazon e Microsoft sono già attive in questo senso, Google ne sta parlando con il colosso locale Tencent. Sarà un processo «lento e complicato», per dirla alla Sergey Brin.

@martinapen­nisi

 ??  ?? Il testo La lettera dei dipendenti di Google pubblicata dal
Il testo La lettera dei dipendenti di Google pubblicata dal
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy