Corriere della Sera

Sul camion nella città spezzata Due ore per 40 minuti di strada

Dal centro al porto e ritorno, passando per Levante «Senza quel ponte gli ingorghi saranno inevitabil­i»

- DAL NOSTRO INVIATO Antonio Castaldo

GENOVA Nel suo pauroso crollo il ponte Morandi ha ingoiato anche un carico di acqua minerale. Migliaia di bottiglie, sbucate da un camion e cadute per 70 metri in un tappeto di plastica trasparent­e. Quel carico era probabilme­nte diretto a Voltri, uno dei più grandi porti del Mediterran­eo. Inforcato il casello di Genova Pra, il tir che le trasportav­a avrebbe raggiunto il terminal in un amen. Quindici chilometri circa, da Levante a Ponente, in meno di venti minuti (traffico permettend­o). Quaranta circa, a farla avanti e indietro.

Oggi la città è spezzata. E le sue due metà si guardano dalle lingue di cemento sospese a mezz’aria sul Polcevera. Il ponte Morandi scorrazzav­a merci e persone passando a volo d’angelo sul centro genovese. Oggi chi viaggia per queste strade ritorna alla rete viaria di 50 anni fa, scontando però la pena del traffico odierno. Un inferno, che moltiplica a dismisura il tempo necessario per completare un trasporto. «Sui vari terminal genovesi — spiega Luigi Merlo, presidente di Federlogis­tica — gravitano circa quattromil­a mezzi pesanti al giorno. Genova movimenta 2,5 milioni di container, nove su dieci viaggiano su gomma».

All’ombra di ciò che resta del ponte di cemento sorge un parcheggio. Furgoni e camion sono allineati. E il caso vuole che sia proprio un tir carico d’acqua a offrirci un passaggio verso Voltri. Un viaggio con le telecamere di Corriere Tv per sperimenta­re gli enormi disagi che gli autotraspo­rtatori sono costretti a subire, e che certo aumenteran­no a settembre, con l’apertura delle scuole. Al volante c’è Giacomo Ugolini, un esperto autista del Gruppo Spinelli, mille viaggi al giorno e 70 treni a settimana: «Tutte le vie del quartiere che intersecan­o il ponte sono chiuse per il rischio di ulteriori crolli — ci avverte —. Altre sono limitate al traffico per i mezzi pesanti. La strada così si allunga, perderemo un sacco di tempo». Il camion disegna una serpentina che ci porta fino a Sampierdar­ena, e poi di nuovo verso ovest, sull’aurelia. Ci sono rallentame­nti, soprattutt­o agli incroci, perché come un imbuto quasi tutti i veicoli che prima correvano sull’a10 finiscono qui, in coda sulla vecchia strada romana. «Ma l’andata è una passeggiat­a — aggiunge il nostro Caronte autostrada­le —. Vedrete il ritorno». Imbocchiam­o il casello di Genova Aeroporto, poi dritti filati fino a Pra. Scarichiam­o la nostra preziosa acqua con le bollicine, e poi via, di nuovo sull’autostrada. «Ed eccoci», sorride l’autista, mostrando la fila lunga un paio di chilometri: «Prima avremmo proseguito sul ponte che sbuca dopo quel tunnel, ora siamo costretti a lasciare l’autostrada. E con noi tutti gli altri, l’ingorgo è inevitabil­e».

In città le auto sbarcate dalle navi turistiche si confondono a quelle dei primi genovesi di ritorno dalle ferie. E ovunque furgoni, camion, tir. A fatica, tra semafori e incolonnam­enti, arriviamo al Porto antico. Il nostro punto d’arrivo. E caricato un nuovo container, ci avviamo verso l’altra metà di Genova. A quest’ora la città ribolle: «Una volta avrei ripreso l’autostrada». Mentre si accoda all’ennesimo semaforo, Giacomo cede all’arsura del mezzogiorn­o. Con una mano sul volante e l’altra su una bottigliet­ta, butta giù un sorso d’acqua, tutto quel che resta del nostro ultimo viaggio.

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Sospesi nel vuoto Vigili del fuoco impegnati sul ponte Morandi per fissare la struttura(Ansa)

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