LA DEMOCRAZIA DIGITALE E I RISCHI DI MANIPOLAZIONE
S ono sempre più numerosi quanti in Italia affermano che la democrazia rappresentativa è in crisi. Tale crisi viene equata con la crisi dei partiti tradizionali e considerata come ormai irreversibile. A questa superficiale diagnosi si accompagna sempre più spesso l’indicazione dei meriti della democrazia diretta, ove il credo democratico dell’one man-one vote sarebbe finalmente pienamente realizzato senza l’intervento distorsivo di organizzazioni intermedie e di élite tali non per maggiore competenza ma per effetto di oscure manipolazioni (i «poteri forti»), e che con la loro stessa esistenza contraddirebbero l’eguaglianza assunta a principio unico della democrazia.
A fianco di studiosi seri che sottolineano come la democrazia rappresentativa sia oggi insidiata dalla progressiva traslazione delle decisioni dalle sedi tradizionali (parlamenti e governi) a sedi sovranazionali (Onu, Ue, Nato, Opec, etc.) o a grandi strutture burocratiche autolegittimantesi (Fmi, Bce, Wto), e come sia quindi necessario rivitalizzarla integrandola con forme di democrazia partecipativa, si è venuta insomma diffondendo una vulgata che superficialmente afferma la fine della democrazia rappresentativa e l’avvento della vera democrazia ove finalmente «l’uno vale uno» e tutto è rimesso senza mediazione alcuna al volere del «popolo».
Il progresso tecnologico completerà il processo permettendo di consultare in tempo reale i cittadini e di affidare loro ogni decisione. In breve tempo l’inutilità delle assemblee legislative diverrà evidente; nel frattempo si potrà selezionarne i membri per sorteggio.
Vengono così dimenticati oltre due millenni di storia e due secoli di teoria democratica. Come ben sa ogni persona di media cultura, la democrazia degli antichi riposava nella polis greca su di una divisione tra i «cittadini» dediti alla partecipazione politica, e i produttori, ivi compresi gli schiavi, responsabili della fornitura dei beni materiali. Il numero dei partecipanti alla vita politica era limitato, così come i compiti dello Stato che non richiedevano competenze. Sarà solo con il superamento dello Stato assoluto e della rappresentanza corporativa, e con l’avvento del costituzionalismo e il progressivo allargarsi del suffragio, che si affermerà la moderna democrazia rappresentativa.
In altre parole, il cammino di quanto noi oggi consideriamo «democrazia» coincide con l’affermarsi della rappresentanza. La natura delle decisioni politiche nel corso del Ventesimo secolo diverrà sempre più complessa imponendo il formarsi di burocrazie specializzate, lasciando al popolo il fondamentale ruolo di scegliere a quali tra le varie élite in competizione tra loro, portatrici di programmi diversi, delegare la funzione di governo. La democrazia rappresentativa non è frutto della manipolazione di élite contrapposte al popolo, ma nasce e accompagna il divenire dello Stato nazionale. Di quello Stato così caro agli odierni «sovranisti» di cui la democrazia rappresentativa è un elemento costitutivo.
I limiti che essa oggi indubbiamente incontra nascono dai processi che già ricordavamo: globalizzazione e internazionalizzazione delle principali decisioni. È proprio per ovviare ai limiti che tali pro-