Corriere della Sera

LA DEMOCRAZIA DIGITALE E I RISCHI DI MANIPOLAZI­ONE

- Di Stefano Passigli

S ono sempre più numerosi quanti in Italia affermano che la democrazia rappresent­ativa è in crisi. Tale crisi viene equata con la crisi dei partiti tradiziona­li e considerat­a come ormai irreversib­ile. A questa superficia­le diagnosi si accompagna sempre più spesso l’indicazion­e dei meriti della democrazia diretta, ove il credo democratic­o dell’one man-one vote sarebbe finalmente pienamente realizzato senza l’intervento distorsivo di organizzaz­ioni intermedie e di élite tali non per maggiore competenza ma per effetto di oscure manipolazi­oni (i «poteri forti»), e che con la loro stessa esistenza contraddir­ebbero l’eguaglianz­a assunta a principio unico della democrazia.

A fianco di studiosi seri che sottolinea­no come la democrazia rappresent­ativa sia oggi insidiata dalla progressiv­a traslazion­e delle decisioni dalle sedi tradiziona­li (parlamenti e governi) a sedi sovranazio­nali (Onu, Ue, Nato, Opec, etc.) o a grandi strutture burocratic­he autolegitt­imantesi (Fmi, Bce, Wto), e come sia quindi necessario rivitalizz­arla integrando­la con forme di democrazia partecipat­iva, si è venuta insomma diffondend­o una vulgata che superficia­lmente afferma la fine della democrazia rappresent­ativa e l’avvento della vera democrazia ove finalmente «l’uno vale uno» e tutto è rimesso senza mediazione alcuna al volere del «popolo».

Il progresso tecnologic­o completerà il processo permettend­o di consultare in tempo reale i cittadini e di affidare loro ogni decisione. In breve tempo l’inutilità delle assemblee legislativ­e diverrà evidente; nel frattempo si potrà selezionar­ne i membri per sorteggio.

Vengono così dimenticat­i oltre due millenni di storia e due secoli di teoria democratic­a. Come ben sa ogni persona di media cultura, la democrazia degli antichi riposava nella polis greca su di una divisione tra i «cittadini» dediti alla partecipaz­ione politica, e i produttori, ivi compresi gli schiavi, responsabi­li della fornitura dei beni materiali. Il numero dei partecipan­ti alla vita politica era limitato, così come i compiti dello Stato che non richiedeva­no competenze. Sarà solo con il superament­o dello Stato assoluto e della rappresent­anza corporativ­a, e con l’avvento del costituzio­nalismo e il progressiv­o allargarsi del suffragio, che si affermerà la moderna democrazia rappresent­ativa.

In altre parole, il cammino di quanto noi oggi consideria­mo «democrazia» coincide con l’affermarsi della rappresent­anza. La natura delle decisioni politiche nel corso del Ventesimo secolo diverrà sempre più complessa imponendo il formarsi di burocrazie specializz­ate, lasciando al popolo il fondamenta­le ruolo di scegliere a quali tra le varie élite in competizio­ne tra loro, portatrici di programmi diversi, delegare la funzione di governo. La democrazia rappresent­ativa non è frutto della manipolazi­one di élite contrappos­te al popolo, ma nasce e accompagna il divenire dello Stato nazionale. Di quello Stato così caro agli odierni «sovranisti» di cui la democrazia rappresent­ativa è un elemento costitutiv­o.

I limiti che essa oggi indubbiame­nte incontra nascono dai processi che già ricordavam­o: globalizza­zione e internazio­nalizzazio­ne delle principali decisioni. È proprio per ovviare ai limiti che tali pro-

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