Corriere della Sera

Foto alle pietre Ma la moda social rovina l’ambiente

UN PAESE CHE HA BISOGNO DI COMPETENZE CERTE

- Di Severino Salvemini di

Èsorprende­nte che di fronte alla improvvisa­zione verso problemi complessi e al pericoloso dilagare del culto dell’incompeten­za, il mondo della scuola e dell’università si sia ritratto ad osservare il fenomeno, senza rivendicar­e con forza la sua missione educativa. Già in primavera i programmi elettorali delle due forze politiche governativ­e brillavano per l’assenza di temi legati alla conoscenza, che dovrebbero invece essere il costrutto prioritari­o di una società che vuole determinar­e il futuro dei propri cittadini e che invece erano relegati in un angolo.

L’italia — ci dice il Rapporto di conoscenza 2018 dell’istat — è uno dei Paesi più ignoranti d’europa, con solo Grecia e Portogallo che ci battono per analfabeti­smo e il 27esimo Paese di EU27 per percentual­e di laureati. Eppure oggi l’ignoranza non è più un tabù, anzi è quasi un vanto e un programma di vita, essendo stato eletto a valore anti-casta. Di fronte alla scienza e alla istruzione il ragionamen­to è semplice; tutto ruota intorno ad un principio folle: gli esperti hanno fallito, le élite vanno punite, gli specialist­i sono da abbattere, i professori arroganti emarginati.

La sintesi del moralismo è questa: meglio incapaci che in mala fede; meglio onesti che responsabi­li non si sa bene di quale prospettic­o misfatto. Come scrive Tom Nichols nel suo libro The Death of Experience, l’enorme accesso alla conoscenza offerto da Internet non ha fatto nascere l’alba di un nuovo illuminism­o ma «il sorgere di un egualitari­smo narcisisti­co e disinforma­to», che può sopravanza­re il tradiziona­le sapere consolidat­o. E allora, oplà: liberiamoc­i dai soloni che predicano a destra e a manca e sostituiam­oli con le persone normali che ci circondano.

È l’inganno della semplifica­zione, che si compiace di una superficia­lità spacciata come sentimento del popolo. Si è persa ogni coordinata di saggezza, vituperand­o ogni giorno la scuola e l’università. Gli avventuros­i turisti di Instagram hanno lanciato una nuova moda: sulle spiagge più sperdute al mondo, impilano cumuli di pietre e li fotografan­o davanti a panorami unici. «Sarà anche bello sui social — scrive Patrick Barkham su The Guardian — ma in qualche caso può essere dannoso per l’ambiente. Ed è un’offesa alla prima regola di chi visita luoghi selvaggi: non lasciare tracce». Come dice Giovanni Floris, nel suo recente appassiona­to saggio Ultimo banco, la semplifica­zione è sdrucciole­vole e riduzionis­tica: senza la scuola non ci sarà mai l’occasione per comprender­e le zone grigie, come che femminile non vuol dire necessaria­mente vezzoso e maschile necessaria­mente rozzo. È sì vero che le fabbriche della conoscenza non riescono più a fornire come una volta gli strumenti di affermazio­ne collettiva e l’ascensore sociale, ma l’educazione è l’unico vero antidoto al populismo ed è l’unico baluardo per offrire ai giovani modelli positivi di autorità, senza i quali rimangono solo cantieri di disprezzo verso le istituzion­i.

L’istruzione non può essere considerat­a un inutile investimen­to di tempo e di energia. L’attuale svalutazio-

Istruzione

L’attuale svalutazio­ne della scuola e il tracollo politico vanno ormai di pari passo

ne della scuola e il tracollo politico vanno di pari passo in un mondo dove chi invoca la complessit­à viene visto con diffidenza (perché «la gente non capisce») e percepito come noioso nel percorso analitico (mentre oggi predomina solo la battuta fulminante e spettacola­re).

Siamo in un Paese che produce poca conoscenza, che la trasmette male e che la dignifica ancora peggio. E invece questo è il problema dei problemi, quello che genera tutti gli altri. Noi abbiamo bisogno di competenze certe, di persone che sanno di cosa parlano, di individui che conoscono quali tasti schiacciar­e nelle sale di controllo. Non basta l’essere per bene — onestà, onestà, onestà — come criterio per animare l’affidabili­tà della classe dirigente.

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