«Sogno di disegnare un Marni tutto nero»
Francesco Risso, 35 anni, alla guida del marchio che è un «frullato di creatività» «Sono fanatico dei film horror, c’è qualcosa di perverso nel mio romanticismo»
Nato in una barca a vela, il 30 dicembre di trentacinque anni fa. In Sardegna. Ma avrebbe potuto essere in qualsiasi porto del Mediterraneo. Suo padre e sua madre erano originari liguri, ma lui e le sue tre sorelle e suo fratello sono venuti al mondo un po’ qua e un po’ là. Cittadini del sogno di un uomo: «Mio papà era così, un incredibile ecclettico per cui nulla era impossibile. Un giorno per mare e l’altro spariva per mesi perché decideva di trasportare da uno stato all’altro mandrie negli States. Lui, che aveva studiato da notaio ma non ha mai lavorato, era quello che indossava pullover rosa e mia madre i completi, era una manager dell’immobiliare Benetton». Va da sé che Francesco Risso, da due anni stilista di Marni, sia così come è. In moto (creativo) perpetuo.
«Sono cresciuto in un “delirio familiare” in cui ciascuno doveva dimostrare qualcosa. Ero il più piccolo e volevo dire la mia. C’era sempre tanta gente intorno a noi, mio padre invitava chiunque. Mi divertivo a esplorare il guardaroba di mia madre e delle mie sorelle. A nove anni tagliavo e rifacevo i loro vestiti e loro mi odiavano perché si ritrovavano con giacche dalle maniche corte o gonne con orli sfrangiati, ma era il mio modo di comunicare. Lo facevo per me, era la mia droga. Tutt’ora taglio i miei abiti e quelli di Lawrence (Steele il suo compagno, designer eccezionale ndr). E se vieni a casa mia la mattina, potresti anche trovare per terra, qua e là, pezzi di pantaloni o maniche di camicia, per me modificarli significa
dare loro vita. La storia degli oggetti mi piace». Cosa l’ha spinta a sbarcare nella moda?
«A 16 anni ho preso la decisione di scendere dalla barca a vela. Unico ad andarmene per costruire una storia tutta mia. Gli altri sono rimasti in qualche modo legati ai miei. Ma eravamo e siamo tutti fuori di testa. Ed è stato facile seguire il mio istinto proprio per quello».
La Saint Martins , naturalmente, a Londra e poi le prime esperienze da Anna Molinari, Alessandro Dell’acqua, Malo e la più importante nell’ufficio stile di Miuccia Prada.
«Andare via dopo dieci anni è stato uno shock, era come una famiglia. Ho imparato cose incredibili. L’apertura alla creativa della signora (Miuccia ndr) è pazzesca e bastava che lei entrasse nella stanza e dicesse due parole che il tuo cervello cominciava a lavorare. L’ispirazione come ossessione con un approccio genuino e profondo nell’appropriazione del proprio. Un marchio di una coerenza incredibile, intorno invece vedo troppi specchietti per le allodole».
Lei qui da Marni, un marchio spesso accusato di occhieggiare un po’ troppo al lavoro di Prada: una coincidenza?
La sua vita
Nato su una barca a vela, a 16 anni ha lasciato la famiglia per la moda. Dieci anni da Prada e ora la prima prova da solista