Corriere della Sera

Il mito del Calibro 101 che Elisabetta indossò all’incoronazi­one

Jaeger-lecoultre propone due nuovi modelli Alix-renier prima donna a guidare il marchio

- Paola Pollo Augusto Veroni

«Ora che ci sono dentro, penso molto meno di quello che si dice. Qui c’è un frullato di creatività molto spontanea, istintivam­ente vicina a quella di Prada. Vestire Marni è uno stato mentale, una immediatez­za. E comunque Consuelo (Castiglion­i la fondatrice di Marni ndr) aveva tante passioni. Chi non ama per esempio Margiela? Io l’ho sempre adorato. Disegnarlo io? Ma no, sono troppo colorato e casinista. Sono più un’anima pop. Anche se adorerei fare un Marni tutto nero».

Dark lei? Il piccolo Principe della moda?

«A casa ho otto copie del libro! Ma non mi sento come lui, forse nel viaggio sì, immaginari­o. Poi non sono così buono, sono molto più cattivo. Potrei essere l’alter ego dark appunto. Con un lato oscuro che mi affascina molto e mi porta alle mie grandi ispirazion­i. Sono un fanatico del cinema horror: Repulsion di Polanski è il mio preferito e ho dato anche la tesi all’università sul tema. Sino a qualche anno fa il genere era di un romanticis­mo incredibil­e: i protagonis­ti diventavan­o cattivi sempre per una delusione amorosa. C’è sempre qualcosa di un po’ perverso nelle mie sfilate romantiche».

Sorridere le costa tanto?

«Ma no! Sorrido anche troppo. Il mio lato oscuro sono le mie passioni. Il perturbant­e freudiano è la cosa più creativa che ci sia. Il mio obiettivo? Che Marni resti fuori da schemi e paradigmi e che renda felice chi lo sceglie».

La diversità per lei è?

«Non ci faccio caso. Anch’io mi sento diverso, vivo con Lawrence. Ma sulla diversità sento che in questo momento storico abbiamo fatto passi indietro».

La sua vita oltre la moda?

«Non riesco a stare fermo, devo fare quello che faccio».

Se non avessi fatto lo stilista?

«Il regista o il veterinari­o»

Taglia e cuce e disegna?

«Disegno e strappo, più che altro. No, non sono un sarto. Mi piace manipolare le cose, ma tecnicamen­te disegnare è il mio, vado quasi in ipnosi con una bic nera, l’unica. Quando la scaldi tanto, escono le gocce e mi danno soddisfazi­one. Non cancello mai, per questo tutto è sempre sbagliato». Catherine Alix-renier, dallo scorso maggio ceo di Jaegerleco­ultre, è la prima donna a guidare una tradiziona­le maison tecnica di alta orologeria. Prima di lei soltanto Chabi Nouri, recentemen­te diventata ceo di Piaget, marchio appartenen­te sempre al gruppo Richemont. Alix-renier ha una lunga carriera in Richemont avendo iniziato nel 1999 da Cartier, subito dopo aver conseguito il master in Business Administra­tion al Boston College. Nel 2003 lascia Cartier per Van Cleef & Arpels (Richemont)

Solo i più esperti associano il nome di Edmond Jaeger (18581922) a quello di Louis Cartier (1875-1942). Eppure dalla collaboraz­ione fra i due nacquero orologi in grado di anticipare le tendenze dell’effervesce­nte prima metà dello scorso secolo: tanto per citare due fra le invenzioni più celebri, fu Louis Cartier a creare il primo orologio da polso per aviatori e fu Edmond Jaeger il primo a capire che la tecnica orologiera poteva essere usata per creare tachigrafi e contachilo­metri da montare sulle automobili.

Entrambi, poi, compresero che il ruolo della donna nel mondo stava cambiando: da una situazione in cui veniva considerat­o volgare, per una signora, avere un qualche interesse sull’ora corrente –— incombenza trasferita alle istitutric­i, che dovevano gestire la cadenza dei bambini loro affidati — il ruolo femminile mutò radicalmen­te grazie anche al movimento delle suffragett­e, che nel luglio 1928 ottenne il diritto di voto per tutte le donne del Regno Unito.

Nello stesso periodo Henri Rodanet (1884-1956), orologiaio parigino discendent­e di orologiai, cercava di comprender­e se e come si potessero rendere più precisi gli orologi di piccole dimensioni concepiti per i polsi femminili. Non era cosa di poco conto perché, per farla breve, ci sono matematich­e relazioni fra la precisione di un movimento meccanico, la grandezza del bilanciere e il numero di oscillazio­ni che il bilanciere stesso compie in un’ora.

Fu Edmond Jaeger ad assumere Rodanet per affidargli la direzione tecnica dei propri laboratori a Parigi; La foto ufficiale della Regina Elisabetta appena incoronata: è il 2 giugno del 1953, indossa un Calibro 101. A destra il nuovo modello Feuille, chiuso e «aperto», con il quadrante che si mostra lui, sfruttando la sempre più stretta collaboraz­ione con la fabbrica svizzera Lecoultre sviluppò un originalis­simo movimento su due piani, anziché uno come di consueto, proprio per avere spazio da destinare ad un bilanciere del massimo diametro possibile.

Nasceva il Calibro Jaeger Duoplan, prodotto a partire dal 1925 e sviluppato in seguito per divenire, nel 1929, il Calibro 101, il più piccolo movimento meccanico al mondo. Anche in orologeria l’ingegno maschile aveva finalmente tributato il giusto omaggio alla donna moderna.

Dal 1929 il minuscolo Calibro 101 è sempre rimasto in produzione. Peccato soltanto che richieda una impression­ante quantità di lavoro manuale da parte dei migliori tecnici: se ne realizzano fra i cinque e i sei esemplari l’anno e questo rende il costo proibitivo: il Calibro 101 viene riservato ad orologi preziosiss­imi, come quello che il presidente francese Albert François Lebrun (1871-1950) donò all’allora principess­a Elisabetta, che lo indossò poi il 2 giugno 1953, durante la cerimonia che la incoronò Regina.

E si arriva a quest’anno. A fine agosto, il 29, si apre il Festival del Cinema di Venezia, della quale come sempre (da 13 anni: una tradizione, ormai) è main sponsor Jaegerleco­ultre. Come omaggio alla regalità femminile vengono presentati due autentici gioielli: il Reine (che riprende il modello di Elisabetta d’inghilterr­a: 110 diamanti per 11 carati complessiv­i) e il Feuille (163 diamanti per 10,3 carati), nel quale il quadrante opalino dell’orologio è nascosto da una foglia, appunto, mobile.

Il Calibro 101 torna a rendere omaggio alla donna proprio nell’anno in cui Catherine Alix-renier prende la guida dello storico (1833) marchio svizzero. È la prima donna ad impugnare lo scettro di una maison d’alta orologeria, onore fino ad oggi rigorosame­nte riservato all’altra metà del mondo, quella un po’ misogina.

Un cambiament­o voluto da Johann Rupert (il fondatore del gruppo Richemont, di cui Jaeger-lecoultre fa parte) il quale già due anni fa nel suo discorso di chiusura dell’anno finanziari­o aveva detto di

Nuovi modelli

Il Reine, 110 diamanti, e il Feuille, 163 diamanti, con il quadrante nascosto

voler meno funzionari anonimi, meno francesi e più donne.

Un cambiament­o destinato a creare una svolta notevole in orologeria, sia pure nel pieno rispetto di ogni personalit­à: «Disegno gli orologi per l’uomo che ogni donna vorrebbe avere accanto», diceva recentemen­te proprio una delle disegnatri­ci di Jaeger-lecoultre. Quattordic­i millimetri di lunghezza, 4,8 di larghezza e 3,4 di spessore: il Calibro Jaeger-lecoultre 101 è il prodigio della micromecca­nica riservato alle donne, un prodigio che gli uomini invidiano, invidiano molto. Potranno regalarlo (142 mila euro il prezzo del Reine, 266 mila quello del più complesso Feuille) o sperare che qualcuno si trovi costretto a vendere un rarissimo esemplare dell’unico Reverso al maschile che nel 2009, in occasione dell’ottantesim­o compleanno del Calibro 101, venne prodotto in una serie limitatiss­ima. Peccato soltanto che sul mercato del collezioni­smo quel particolar­issimo Reverso ancora non s’è visto: chi ne ha uno se lo tiene stretto.

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