Corriere della Sera

Così vicini, così lontani: Albania, strano miraggio rosso

Nicola Pedrazzi ricostruis­ce in «L’italia che sognava Enver» (Besa editrice) i rapporti tra le nostre sinistre e il regime comunista di Hoxha

- Di Leonard Berberi

Se Enver Hoxha (1908-1985), allora padre-padrone dell’albania comunista, non avesse deciso di definire revisionis­te e opportunis­te le posizioni di Palmiro Togliatti (ai tempi segretario del Pci) forse la storia tra i due Paesi sarebbe andata diversamen­te. E quel legame speciale che c’è sempre stato tra le due sponde dell’adriatico magari si sarebbe trasformat­o in qualcosa di molto più concreto. Così non è stato. Per Hoxha, capo del Partito del Lavoro d’albania (cioè il partito comunista), la maggior parte dei marxisti della costa di fronte si era ormai «venduta» al mondo occidental­e. Anche se proprio tra quei comunisti c’era più d’uno che guardava con dedizione a quel che succedeva a Tirana.

È questo uno dei dettagli interessan­ti — per non parlare di quelli inediti — che emerge dalla lettura di L’italia che sognava Enver. Partigiani, comunisti, marxisti-leninisti: gli amici italiani dell’albania Popolare (1943-1976) (Besa editrice), poderoso lavoro di ricerca e verifica del trentaduen­ne Nicola Pedrazzi, ricercator­e presso l’osservator­io Balcani e Caucaso Transeurop­a (Obct) che, tra le altre cose, è andato a spulciarsi i documenti in lingua originale presso l’archivio Centrale dello Stato albanese di Tirana e dell’archivio storico-diplomatic­o del ministero degli Affari esteri di Roma.

«Negli archivi di Tirana — spiega l’autore — capii che un’altra storia italo-albanese meritava di essere scritta : una storia successiva al colonialis­mo fascista, precedente alla nave “Vlora” (1991, ndr), contempora­nea alla dittatura di Enver Hoxha».

È proprio in questo periodo, in piena Guerra fredda, che il libro offre uno sguardo sulle due nazioni divise da solo 80 chilometri di mare ma anche da una distanza ideologica abissale. Sono gli anni in cui Roma e Tirana vedono i rapporti diplomatic­i al minimo storico e gli unici a fare da «ponte» sono gli esponenti della sinistra italiana. Non tutta la sinistra, fa notare Pedrazzi, ma quei movimenti marxisti-leninisti ostili al Pci «revisionis­ta» che dalla fine degli anni Sessanta cercarono a tutti i costi di avere a che fare con quell’albania popolare di Hoxha che portò il leader cinese Mao Zedong a definire il «Paese delle aquile» il «faro del socialismo in Europa».

L’esito, sorprenden­te, è stata così l’apertura di Tirana a questa fetta della sinistra italiana proprio mentre lo Stato balcanico si chiudeva al resto del mondo. Certo, proprio gli italiani dovevano prima dimostrare la loro fedeltà al marxismo-leninismo. Infatti — ricorda l’autore — negli anni Settanta le cosiddette «Associazio­ni d’amicizia» garantiron­o agli aspiranti comunisti decine di spedizioni militanti nello spicchio d’europa che aveva avuto «il coraggio della rivoluzion­e» più estrema..

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