Il sogno americano di Paolo
Genovese: ho voglia di un film internazionale «Perfetti sconosciuti»? Niente soldi dai remake
Paolo Genovese ha 51 anni e non viene da una scuola di cinema o da una famiglia di cineasti. Laurea in Economia; studente coinvolto nella politica (estrema sinistra), «al liceo quando vuoi farla la fai estrema, o a destra o a sinistra». Prime esperienze lavorative come consulente aziendale, poi regista di pubblicità. «Ho un percorso atipico, mi piace raccontare storie», dice. Perfetti sconosciuti è stato un successo mondiale. Ma lui, dei 100 milioni di dollari incassati all’estero (in Cina quinto al box office accanto ad Avengers e Star Wars), «non ho visto un centesimo. Non esistono veri diritti per film italiani venduti all’estero, ci vanno talmente pochi». Si rifarà gli occhi a Venezia, come giurato alla Mostra, e negli Usa, dove in ottobre comincerà a lavorare al film Il primo giorno della mia vita, dal suo romanzo best seller, dove si esercita sul mal di vivere parlando di suicidio e di felicità.
I premi delle giurie sono dei terni al lotto.
«Perché esiste un punto di vista fortemente soggettivo e tutto è relativo. Mi aspetto dibattiti accesi col presidente Guillermo Del Toro. Io difenderò le mie idee, non sarò nazionalista per partito preso, ma non eccederò dall’altra parte».
Dopo Venezia, il film in America.
«Ho voglia di alzare l’asticella, ci ho preso gusto, ho voglia di parlare a un pubblico più ampio con film che possano andare oltreconfine. È la storia di una rinascita. Quattro persone hanno in comune il fatto di non farcela più. Hanno toccato il fondo e trovano un’uscita di sicurezza dalla vita quando incontrano un angelo senza ali, solo un grande cuore, un mentore che un attimo prima del loro gesto irreparabile gli offre un patto: sette giorni di tempo per farli rinnamorare della propria esistenza, e poi liberi di scegliere: vita o morte. In quei sette giorni vedranno cosa lasciano, cosa si perdono. Volevo celebrare la bellezza della vita con una dramedy, quasi un manuale di sopravvivenza dopo due film senza speranza che indagano l’anima nera delle persone».
Perché New York?
«Non è che, se vai fuori, giri un film internazionale. Ma diventa credibile l’idea di incontrare all’east Village quel tipo strampalato, ci sono quei tipi… No, lui non ricorda Valerio Mastandrea in The place, un personaggio del tutto surreale, questo invece è un personaggio misterioso ma realistico, un affabulatore con le sue paure e insicurezze, un angelo che fa cose umane».
Chi sono i quattro aspiranti suicidi?
«Una poliziotta che ha perso la figlia. Una ginnasta finita sulla sedia a rotelle, volteggiava e il destino girava dall’altra parte, metafora di tutti coloro che cadono e non trovano la forza di rialzarsi. Un piccolo divo della pubblicità, è obeso, la vittima più fragile, “una categoria di cui nessuno si occupa e vi assicuro che, come Ambasciatore dell’associazione nazionale contro il bullismo, ho visto tanti bambini che l’hanno fatta finita”. Un motivatore demotivato, life coach di successo aggredito da una depressione che lo paralizza, ed è il più determinato a farla finita: si sta gettando dal Manhattan Bridge. Alto, eh? A volte cadi e non muori, gli dice l’angelo indicando in basso. Non si getterà. Sono vivo, gli dice. Sei vivo. Per qualcuno di essi, l’ultimo giorno della vita potrebbe trasformarsi nel primo di una vita nuova».
E la vita gli scorre ancora davanti. Cast?
«Sogno attori di un cinema indipendente, Paul Giamatti, John Turturro, Buscemi, Stanley Tucci e anche James Franco. Dopo Venezia, agendina e telefono».
A proposito di telefono: Perfetti sconosciuti è diventato un caso sociale.
«Hanno fatto remake in Spagna, Grecia, Ungheria, Turchia, Francia, Russia, ora lo fanno in teatro a Buenos Aires. Le reazioni che mi hanno colpito? In Svezia ridevano in modo esagerato, come se fosse un film di Natale. In Cina invece l’hanno vissuto come un horror, erano agghiacciati da questa storia. Il cellulare ha cambiato la nostra vita quotidiana e i rapporti interpersonali. Un oggetto che non c’era prima e non ci sarà dopo. Io non farei mai vedere il mio cellulare a nessuno».
Il cellulare ha cambiato la nostra vita quotidiana e i rapporti interpersonali Io non farei mai vedere il mio telefonino a nessuno