Fico: «Mi scuso a nome dello Stato». Il silenzio di Conte La polemica per un selfie di Salvini e la lite con il rapper
che parola, ascoltano l’omelia a testa bassa e guardano passare i ragazzi della squadra Campi Corniglianese, società del campionato di seconda categoria ligure per la quale giocava Marius Djerri, un attaccante di nazionalità albanese. La sua foto, quella sulla bara, è la più baciata. Ogni compagno di squadra la prende, l’avvicina alle labbra e poi le parla. Parla alla foto di un uomo che non c’è più anche la moglie di Luigi Matti Albadonna. «Ora che farò io senza di te, eh?». Lui aveva 35 anni e quattro figli. «Proprio adesso che stava andando tutto bene...» si dispera lei sistemando il topolino di pelouche che uno dei suoi bambini ha regalato a papà. Due passi più in là ci sono le bare di Roberto Robbiano, di sua moglie Ersilia e di Samuele, la più piccola vittima del Morandi, 9 anni. Su quella di Samuele, bianca, ci sono due pupazzetti con gli occhi enormi.
L’imam di Genova si aggira fra le sedie sistemate attorno alle bare. Durante la cerimonia è intervenuto anche lui con i suoi Allah Akbar per salutare i fedeli musulmani morti sotto il ponte. Anche per lui gli applausi convinti della gente quando ha detto che «nel nome del Dio unico vi dico che un ponte che crolla è qualcosa che non può esistere. Genova, che in arabo significa “la bella” saprà rialzarsi. Le comunità islamiche pregano perché la pace sia con tutti voi».
Sono passate le tre del pomeriggio quando il padiglione della Fiera si svuota. Restano pochi parenti a parlare di chi non c’è più, a ricordare Bruno che «il destino l’ha proprio chiamato» o i ragazzi francesi che «hai visto? Non c’era nessuno vicino alla bara». Qualcuno parla dei morti che non erano qui, pianti altrove. Quando questa giornata sarà passata il conto finale sarà di 43. Quarantatré vite schiacciare dalle macerie del Morandi.