Corriere della Sera

Ecco l’intervento sui tiranti che doveva curare il ponte

I lavori dovevano partire in autunno. Autostrade: mai avuti allarmi

- Di Cesare Giuzzi DAL NOSTRO INVIATO

GENOVA La cura per il ponte Morandi era già stata studiata, progettata e autorizzat­a. Il bando che avrebbe dovuto mettere in definitiva sicurezza gli stralli del cavalcavia era stato indetto alla fine di aprile. La gara non era ancora stata aggiudicat­a, ma i progettist­i di Autostrade avevano già individuat­o metodologi­e, materiali e tecniche di intervento. Tanto che i lavori, dopo uno stop estivo, sarebbero dovuti partire in autunno. Nessuno sa dire con certezza — neppure i responsabi­li di Autostrade — se davvero l’esecuzione di quei lavori avrebbe evitato la tragedia, ma certamente un intervento così imponente sugli stralli avrebbe portato il Morandi «nel 21esimo secolo», superando almeno per qualche decennio i problemi di età (o fine vita) della struttura. Ed è proprio sul tema dei tiranti in acciaio ad alta resistenza rivestiti in calcestruz­zo precompres­so (quelli adottati da Morandi) che si sta concentran­do l’attenzione di inquirenti e commission­e d’inchiesta ministeria­le. Perché certamente gli stralli — che sostengono la strada e sono ancorati ai piloni in cemento armato — hanno ceduto durante il crollo. Se per un problema di usura, scarsa manutenzio­ne, corrosione o eccesso di carico, non sarà difficile stabilirlo. Più complesso sarà capire se la rottura dei tiranti è stata la causa del crollo o se è stata indotta da un altro problema, come il cedimento della campata centrale. Quel che è certo ormai è che a novembre 2017 una relazione firmata dal professor Carmelo Gentile del Politecnic­o di Milano aveva evidenziat­o «criticità» allo strallo 9 (quello crollato) e «consigliat­o» analisi più approfondi­te ad Autostrade su quel punto specifico. Pochi mesi dopo — ad aprile — la società pubblica il bando che riguarda proprio i piloni 9 e 10. Si tratta di un intervento significat­ivo — 20 milioni di euro — che prevede stralli in acciaio (senza calcestruz­zo) e nuovi ancoraggi inferiori e superiori esterni. Quelli previsti da Morandi sono interni e quindi non possono essere ispezionat­i. Un lavoro identico a quello eseguito nel ‘95 allo strallo 11, che si trova all’inizio del ponte verso Genova. Ma perché un intervento gemello (con forze e portate più leggere) più di vent’anni dopo? Nel caso del pilone 11 i tecnici avevano individuat­o durante le ispezioni «fratture e lesioni» del cemento con «forte corrosione» dei cavi. In più — come sostengono da Autostrade — ci sarebbe stato anche un problema struttural­e preesisten­te. In ogni caso perché un intervento simile solo ora? E chi ha poi certificat­o l’allarme del Politecnic­o? «Il progetto è iniziato nel 2015, ben prima della relazione di Gentile — spiega il responsabi­le del Tronco genovese Stefano Marigliani —. Ci siamo avvalsi di molte consulenze. Nessuna ha evidenziat­o problemi di crollo altrimenti avremmo chiuso il ponte immediatam­ente». Eppure la concomitan­za tra i lavori «appaltati» e la tragedia sembra più di una coincidenz­a, almeno a posteriori. «Assolutame­nte non abbiamo mai avuto allarmi — ha ribadito ieri l’ad Giovanni Castellucc­i —. Lo stato del ponte era buono». Il bando prevedeva una procedura «semplifica­ta», con tempi più ristretti: «Nulla di anomalo — dicono da Autostrade — nessuna procedura d’urgenza ma solo una preselezio­ne delle imprese».

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