Così Angela e Vladimir continuano a duellare Nemici indispensabili anche al resto del mondo
C ome I Duellanti di Joseph Conrad, Angela Merkel e Vladimir Putin hanno (metaforicamente) incrociato di nuovo le armi al castello di Meseberg, in quella contesa senza fine che ormai dal 2013 definisce i loro rapporti. Si sono incontrati 15 volte e hanno parlato 54 volte al telefono negli ultimi 5 anni, il presidente russo e la cancelliera tedesca, trovandosi spesso se non sempre in disaccordo su tutto, dall’ucraina alla Siria, ai progetti energetici, alle presunte interferenze russe nei processi politici di altri Paesi.
Eppure, come il Sisifo di Camus, Putin e Merkel sanno che il loro continuo ritrovarsi sarà anche inutile, ma è assolutamente necessario. Tanto più da quando ad ogni loro incontro, un ingombrante convitato di pietra, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, spinge o costringe Russia e Germania a cercare convergenze impensabili ancora pochi anni fa.
Così Putin è per Angela Merkel, proprio come Feraud per d’hubert del romanzo di Conrad, il nemico del quale non può fare a meno, fuor di metafora il leader straniero col quale ha più conflitti ma che conosce e capisce meglio, non ultimo perché può interagire con lui passando tranquillamente dal tedesco al russo. Lo stesso vale per Vladimir Vladimirovich.
Il concerto del Brandeburgo, nella più titolata residenza del governo tedesco, ha rispettato lo stesso spartito. Nessuno si aspettava risultati drammatici o clamorosi, la stessa cancelliera, maestra del sottotono, aveva messo in guardia alla vigilia da ogni attesa eccessiva. E puntualmente così è stato.
Eppure, i colloqui di Meseberg a qualcosa sono serviti. «Abbiamo davanti tanti di quei problemi — ha detto la cancelliera — che è giusto con Mosca tenere aperto un dialogo permanente». Sulla Siria soprattutto, dove Russia e Germania sembrano disposti a consumare un matrimonio di convenienza. Putin, lo ha detto esplicitamente anche ieri, perché dopo aver dichiarato vittoria e messo in sicurezza il suo alleato Assad, ha bisogno di una pacificazione vera, impossibile senza il contributo politico e finanziario dell’europa, che poi è come dire della Germania.
Quanto ad Angela Merkel, dalla pacificazione in Siria potrebbe dipendere la tranquilla navigazione dei suoi ultimi anni al potere. Solo in un Paese stabilizzato infatti potrebbe darsi il ritorno di milioni di rifugiati, vera mina vagante della politica interna tedesca, minacciando perfino la coesione interna dell’unione Cristianodemocratica.
Ma il sentiero è strettissimo. Pieno di trappole, come l’annunciata offensiva che russi e siriani starebbero preparando a Idlib, nel Nord della Siria, per eliminare le ultime sacche di resistenza al regime. Una zona dove vivono oltre 2 milioni di civili: se il conflitto dovesse riesplodere, fuggirebbero in direzione della Turchia. Una prospettiva da incubo per Erdogan, ma indirettamente anche per Merkel, visto che il leader turco ha già detto di non essere più disposto ad accogliere
nuovi profughi, ospitandone già più di 3 milioni. Sarebbe sicuramente la Germania la destinazione preferita. Soltanto la diplomazia può evitare un simile scenario. Un contributo decisivo potrebbe venire dal vertice del 7 settembre a Istanbul, dedicato alla Siria: Erdogan ha invitato Putin, Merkel e il francese Macron.
Tornando a Meseberg, uno sprazzo di progresso si è visto sul Nord Stream 2, dove Putin è sembrato concedere alla cancelliera l’assicurazione che la nuova conduttura energetica non taglierà fuori l’ucraina, «dove il traffico continuerà a passare». Ma il leader russo non ha detto nulla sulle quantità e sulle condizioni, il che giustifica la cautela tedesca.
Auspici, speranze, ambiguità, come sempre cose non dette, ma un filo di dialogo, quello tra Mosca e Berlino, che rimane e che l’inafferrabile leggerezza dell’attuale presidenza americana sembra rafforzare quasi per default. La cosa più importante del vertice di Meseberg è che si sia tenuto e che la lunga sfida dei duellanti sia destinata a continuare. Indispensabili l’uno all’altro e in parte al resto del mondo.