Quei «dispetti» francesi all’italia per il controllo del petrolio libico
La storia dei bisticci italofrancesi per la Libia (vedi l’articolo di Maurizio Caprara sul Corriere della Sera del 13 agosto) cominciò a Tunisi il 12 maggio del 1881 quando la Francia, padrona dell’algeria dal 1830, colse una occasione (le scorribande di una tribù locale) per costringere il bey di Tunisi ad accettare una sorta di protettorato. Gli italiani erano la maggiore comunità straniera del Paese (quasi 70.000 alla fine del secolo) e la classe politica del nuovo Regno era convinta di avere un diritto di prelazione. I rapporti italo-francesi divennero alquanto freddi e a Roma sembrò prudente, un anno dopo, mettersi sotto l’ala protettrice della Germania e dell’austria.
Vi fu una schiarita nel 1902, quando Roma e Parigi si accordarono per rispettare i reciproci interessi in Marocco e in Tripolitania. Ma non appena l’italia dichiarò guerra alla Turchia nel settembre del 1911 e iniziò la conquista della Libia, i nostri Servizi cominciarono a segnalare che la Francia chiudeva un occhio sugli aiuti inviati alle truppe turche attraverso il confine tunisino. La crisi scoppiò nel gennaio 1912 quando due navi francesi furono bloccate da un cacciatorpediniere italiano e dirottate verso Cagliari. La prima trasportava un aereo e la seconda una missione turca composta da 29 militari. I due Paesi si riconciliarono e combatterono insieme nella Grande guerra, ma la Tunisia, soprattutto durante le fasi più retoriche del Ventennio fascista, continuò a essere uno dei temi preferiti del nazionalismo italiano. Terminata la Seconda guerra mondiale sembrò che Italia e Francia non avessero più motivi per litigare. La Libia divenne un regno nel 1951 e la Tunisia una repubblica nel 1955. Ma la prima
L’obiettivo
Parigi non ha mai rinunciato a coltivare rapporti che le avrebbero permesso di scavalcare l’eni
aveva il petrolio, commercializzato dal 1961, e la Francia non rinunciò mai a coltivare rapporti che le avrebbero permesso di scavalcare l’eni o almeno partecipare allo sfruttamento della sua ricchezza. Ne avemmo una prova dopo l’avvento al potere del colonnello Gheddafi nel 1969. Il nuovo governo libico voleva riempire i suoi arsenali e l’industria aeronautica francese stipulò accordi per un numero considerevole di Mirage. Armare frettolosamente un regime che aveva appena conquistato il potere con un colpo di Stato che di lì a poco, nel luglio 1970, avrebbe cacciato circa 20.000 italiani, non sembrò a Roma un atto amichevole.
Ma i danni maggiori furono quelli provocati da Nicolas Sarkozy. Il presidente francese sognava una Unione Mediterranea di cui avrebbe condiviso la presidenza con l’egitto. L’eliseo vinse lo scetticismo di Angela Merkel e raggiunse il suo obiettivo. Ma quasi tutti i suoi amici nella regione vennero detronizzati dalle rivolte arabe e il presidente francese sperò di riconquistare il prestigio perduto partecipando con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti a una operazione congiunta che avrebbe avuto per effetto la morte di Gheddafi e la destabilizzazione della Libia. Quanti errori si possono commettere in nome del petrolio libico?