«A 15 anni avevo letto Kafka ma il mio faro resta Totò Gli artisti? Dei nemici intimi»
Il critico: mi finsi turista per portare qui l’avanguardia cinese
A
Paolo Conti chille Bonito Oliva, ovvero ABO. Lei produce fortunati «Aborismi». L’ultimo?
«L’umanità ha finalmente selfie control. Una mania che ho riscontrato nella mia vacanza in Grecia. Niente bagno senza selfie. Ho visto un tipo che si tuffava con l’asta del telefonino».
Questa serie si intitola «Italiani». Cosa vuol dire «essere italiano»?
«Un’identità multimunicipale, non monolitica come quella tedesca. C’è un genius loci che ci tiene collegati antropologicamente: il senso del relativo. Io sono napoletano, per me è l’ironia che, come diceva Goethe, è la passione che si libera nel distacco. C’è sempre il sospetto di un possibile perdono. E di un condono».
Siamo al costume nazionale: il condono.
«Come mancanza di adesione totale allo Stato proprio per quel relativismo creatore dell’evasione fiscale, sostenuto dalla religione cattolica che prevede la confessione e, appunto, il perdono».
La sua vita comincia con una laurea in Giurisprudenza a 21 anni. Cosa c’entra?
«Sono le mie radici familiari. Mio padre apparteneva all’aristocrazia di campagna, con un antenato che lasciò l’albania al seguito di Skanderbeg e venne poi fatto duca, con terre che possediamo ancora nel Vallo di Diano. Mia madre veniva dalla borghesia agraria e discendeva da Celestino V, il papa del gran rifiuto. Mi laureai a 21 anni, Giurisprudenza non allarmava i miei genitori… poi mi iscrissi a Storia e filosofia, cominciai a interessarmi di poesia, a 15 anni avevo letto già di tutto, da Kafka a Faulkner. Ho avuto successo fin da piccolo».
Nel senso?
«Sono il primo di nove figli. Ma non ho mai sentito la responsabilità familiare, come accudire o portare il buon esempio, anche nel grande affetto che ci lega tra fratelli e sorelle. Ho intrapreso un’altra strada».