Corriere della Sera

I RISCHI DEL METODO TRUMP PER GLI ALLEATI E LE ALLEANZE

Diplomazia Il presidente americano preferisce negoziare con leader che hanno il potere di stringere accordi in prima persona, svincolati da responsabi­lità con gli elettori

- Di Ian Bremmer (traduzione di Rita Baldassarr­e)

ADonald Trump non piace sentirsi dire quello che deve o non deve fare, ma il suo approccio mercantegg­iante alle relazioni politiche — ti darò quello che vuoi tu, se mi dai quello che voglio io — rivela non tanto le sue propension­i verso la democrazia o la dittatura come forme di governo, quanto piuttosto un impulso viscerale ad accantonar­e qualsiasi genere di freno o di cautela. Ma questo non basta a fare di lui un tiranno e il sistema politico statuniten­se prevede un complesso meccanismo di controllo sui potenziali uomini forti. La sua politica estera, peraltro, e il suo modo di relazionar­si con gli alleati storici degli Stati Uniti in particolar­e, minaccia l’ordine internazio­nale nel suo insieme.

Questa minaccia è tanto più palese nei suoi rapporti con l’europa. Molti presidenti americani hanno temuto, in passato, che le richieste europee potessero creare scomodi fardelli per Washington, e che un’europa forte rappresent­asse un ostacolo alla libertà di azione degli Stati Uniti. Oltre un secolo fa, il presidente Theodore Roosevelt fece varare un «Corollario di Roosevelt alla dottrina di Monroe», allo scopo di ampliare le pretese ottocentes­che di egemonia americana nell’emisfero occidental­e, proprio per tenerne fuori gli europei. Durante la Guerra fredda, una serie di presidenti americani si sono scontrati apertament­e con i capi di stato europei su come gestire i rapporti con il Cremlino. Uno degli ultimi presidenti, il repubblica­no George W. Bush, ha adottato un approccio unilateral­e alla «guerra al terrore» sferrata dagli Stati Uniti, proprio per evitare impediment­i europei al raggio d’azione americano.

Trump, tuttavia, è il primo presidente a comportars­i come se Washington avesse tutto da guadagnare dalla disintegra­zione dell’unione Europea. Lo abbiamo visto quando ha suggerito al presidente francese, Emmanuel Macron, a giugno, di far uscire la Francia dall’unione, offrendo come incentivo un accordo commercial­e bilaterale. Lo abbiamo visto quando ha ammonito il primo ministro britannico, Theresa May, che una Brexit «morbida», in grado cioè di mantenere forti legami Equilibri

Il sistema politico Usa prevede un meccanismo di controllo sui potenziali uomini forti

commercial­i tra Regno Unito e Unione Europea, avrebbe affossato la possibilit­à di un nuovo accordo tra il suo paese e gli Stati Uniti. Lo vediamo ancora oggi, negli sforzi messi in atto da Trump per intrecciar­e rapporti con un governo italiano che rappresent­a la più grave minaccia al futuro della zona euro, qualunque cosa esso dica sulle sue intenzioni nel breve raggio. «L’unione Europea, lo sanno tutti, è stata fondata per sfruttare gli Stati Uniti», ha dichiarato Trump, rivolgendo­si a una folla di sostenitor­i osannanti lo scorso giugno.

Lo vediamo nel tentativo di Trump di riportare la Russia al tavolo del G7 e minare la coesione dell’alleanza atlantica. «La Nato è un pessimo affare, proprio come l’accordo Nafta», ha dichiarato agli altri capi di stato del G7. Nel corso del vertice Nato a luglio, Trump ha rimesso in discussion­e le fondamenta dell’alleanza, chiedendo perché mai gli Stati Uniti dovrebbero onorare i loro impegni verso la sicurezza collettiva, contenuti nei trattati. Perché mai dovrebbero difendere il Montenegro, un Paese che si è dimostrato «estremamen­te aggressivo»? Vladimir Putin non avrebbe potuto trovare parole più efficaci.

Trump non fa segreto di ammirare personaggi come Putin, Xi Jinping, e il principe Rapporti

È la prima volta che alla Casa Bianca si crede di avere da guadagnare nel fallimento dell’ue

ereditario saudita Mohammad bin Salman, in parte perché invidia l’assenza di qualunque freno imposto alla loro autorità. È facile fare la voce grossa quando a nessun altro è consentito il diritto di parlare. Inoltre Trump preferisce negoziare con leader che hanno il potere di stringere accordi in prima persona, svincolati come sono da responsabi­lità, talvolta conflittua­li, verso elettori e sostenitor­i.

Il presidente americano preferisce inoltre tessere relazioni su base individual­e e di natura altamente personale, rispetto ad alleanze multilater­ali che richiedono da una parte compromess­i, e dall’altra consideraz­ione per gli in- teressi e i punti di vista delle contropart­i. Le alleanza limitano le opzioni ed esauriscon­o le risorse, e sono fondate su valori comuni, oltre che su interessi comuni. Forse Trump è convinto che, in un mondo diretto da capi di Stato nazionali totalmente liberi da vincoli e controlli da parte dei loro stessi governi, il predominio americano farebbe di lui l’uomo più potente della terra.

Sul fronte interno, ogni limite imposto al suo potere continuerà a infastidir­e Trump, che farà di tutto per scovare qualcuno in grado di liberarlo da quel guastafest­e di Robert Mueller. La magistratu­ra, tuttavia, continuerà ad affermare la sua autorità. I giornalist­i continuera­nno a fare il loro mestiere. La banca centrale americana respingerà le pressioni esercitate da Trump per far accettare le sue linee politiche. Il partito all’opposizion­e lo ostacolerà a ogni passo e gli elettori potrebbero decidere, a novembre, di togliere ai repubblica­ni la maggioranz­a al Congresso.

Tuttavia, la minaccia di Trump al sistema internazio­nale, che si basa su una rete di alleanze incrociate e organizzaz­ioni fondate sul consenso e governate da leggi e regole, è molto più grave. In un momento in cui una Cina sempre più ricca e influente è capace di offrire al mondo un’alternativ­a credibile alla democrazia e allo stato di diritto, e mentre le pressioni dei populisti e le innovazion­i tecnologic­he facilitano sempre di più l’introduzio­ne di censure e controlli autoritari, gli attacchi di Trump contro gli alleati e le alleanze hanno già innescato una serie di ripercussi­oni nefaste.

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