Corriere della Sera

Gentile lettrice,

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La sua provocazio­ne è molto intelligen­te e centra il problema della responsabi­lità nel suo senso pieno, l’essere chiamati a rispondere, anche «in solido», delle proprie scelte. Si potrebbe aumentarne il carico, prevedendo la copertura delle spese sanitarie anche di eventuali soggetti infettati impossibil­itati a vaccinarsi, con relative conseguenz­e penali. Fra l’altro la sua proposta ha precedenti importanti, oggetto di discussion­e in alcuni Paesi, come, per esempio, l’esclusione di chi fuma dalla copertura di determinat­e spese mediche da parte della collettivi­tà. L’idea però solleva problemi di diversa natura. La prima, nel caso dei vaccini, è che fra gli obiettivi dell’obbligo c’è il conseguime­nto di soglie che si traducano nella cosiddetta «immunità di gregge», e, in seconda istanza, nella sostanzial­e scomparsa dei relativi agenti infettivi. Per tali scopi un’incentivaz­ione di carattere economico richiedere­bbe tempi più lunghi rispetto all’obbligo come concepito oggi. In secondo luogo questa soluzione introdurre­bbe un cambiament­o significat­ivo nella visione della salute come bene pubblico condiviso, basato sulla solidariet­à, su cui si fonda un sistema sanitario universali­stico come il nostro, aprendo la strada a un concetto di salute come bene privato, adottato in diverse nazioni, con rischi di sperequazi­oni condiziona­te dal censo più che dalle scelte. Infine, scherzando ma non troppo: possiamo illuderci che una proposta (intelligen­te, lo ripetiamo) come questa funzionere­bbe in un Paese «fondato sui ricorsi»? (Luigi Ripamonti).

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