Il terrore vive al piano di sotto
Nel romanzo «L’ombra della paura» (Bollati Boringhieri) Dirk Kurbjuweit, tedesco, compie un percorso nell’angoscia. Dei personaggi, ma anche sua Una famiglia berlinese perseguitata dal vicino di casa. E da un capostipite spaventoso
Angst è il titolo originale di questo romanzo (L’ombra della paura, Bollati Boringhieri); nella traduzione inglese, uscita all’inizio dell’anno, è Fear. Insomma, paura, anche se il termine tedesco si presta a più significati. Nel tedesco parlato, Angst è semplicemente paura: paura dell’aereo, delle malattie, eccetera. Ed è sempre Angst. Ma se chiedete a uno psicoanalista di tradurlo, la prima risposta è: «Angoscia».
Sì, perché è una paura che «mangia l’anima», come recitava un bel film di Fassbinder. Quella che sta incastrata così in fondo dentro di noi che difficilmente uno riesce a dissolvere. E il romanzo di Dirk Kurbjuweit, scrittore e giornalista tedesco (è il vicedirettore dello «Spiegel»), è un viaggio verso le radici ultime di questo oscuro, devastante sentimento.
Racconta, il libro, il caso di una famiglia berlinese — padre architetto di successo, moglie e due figli — che va a vivere al primo piano di una palazzina in un quartiere di ricchi borghesi. Al seminterrato, proprio sotto di loro, vive in affitto uno strano tipo, Dieter Tiberius, disoccupato e in carico ai servizi sociali. Dopo i primi convenevoli di buon vicinato, sempre un po’ esagerati (lascia biscotti in quantità davanti al loro portone), le cose cominciano a cambiare in peggio.
Randolph e Rebecca, questi i nomi dei genitori, si accorgono che Tiberius spia i loro movimenti (così, almeno, ci dice Randolph nel lungo racconto in prima persona che costituisce il libro), temono per i bambini, ricevono lettere minacciose di Tiberius. Che li accusa di abusare sessualmente dei loro figli. E addirittura li denuncia alla polizia. Turbato e impaurito, Randolph parla con il commissario, chiede che Tiberius venga arrestato, o almeno allontanato. Ma senza una prova (per esempio, una aggressione fisica), la legge non può fare nulla. Indifesi, senza protezione, Randolph e Rebecca debbono vivere il loro incubo. È questa l’occasione per lui di andare indietro nel tempo, in cerca delle prime paure.
E spunta così la figura del padre Hermann, appassionato collezionista di armi, tiratore scelto, che girava sempre con una pistola nella fondina. Voleva, il padre, che anche Randolph imparasse a sparare, per questo lo obbligava a seguirlo al poligono di tiro. Ma un giorno Randolph si rifiuta, il padre deluso non gli dice niente però il ragazzo teme che quell’uomo armato un giorno entri in camera sua e lo uccida.
Al momento in cui si svolgono i fatti della casa berlinese (Kurbjuweit ce lo dice subito, ad apertura di libro), è il padre che salva la famiglia di Randolph. Spara a Tiberius e lo uccide; confessa il suo delitto e dopo il processo sconta otto anni di carcere. Il lungo racconto di Randolph ha la forma di una confessione. E come tale vuole essere creduto, come quando l’io narrante ripete più volte che non aveva mai richiesto l’aiuto del padre. Ma ci si deve fidare fino in fondo? La contraddizione fra il padre armato e spaventoso e il padre salvatore lascia aperte molte domande. Forse, in qualche modo, ci prepara a un finale non del tutto inatteso. Anche l’insistenza con cui si ostina a definire la sua vita «normale», almeno fino a quando non compare l’inquilino del seminterrato, suona un po’ falsa. Certo, questo è un romanzo, e come ogni opera narrativa contiene massicce dosi di ambiguità.
La figura di Tiberius, «l’uomo del sottosuolo», si presterebbe a facili interpretazioni simboliche, l’inconscio e quant’altro. Ma lo scrittore passa oltre. Anche perché lui stesso ci rivela il qualcosa in più che ci sfuggiva. In un intervento su romanzo e realtà, e in un’intervista apparsi entrambi sul «Guardian», Kurbjuweit rivela che lui e la sua famiglia, nel 2003, avevano subito la persecuzione di un inquilino; e aggiunge che anche suo padre ha sempre avuto con sé delle armi. Il finale della storia reale è diverso: l’inquilino viene visitato da uno psichiatra che lo ricovera in una clinica per malati di mente. E lì muore per un attacco cardiaco. Qui invece viene ucciso con un colpo di pistola.
Ogni scrittore attinge dalla realtà persone e fatti e in piena libertà li trasfigura, cambia la sequenza degli avvenimenti, obbedisce a un criterio di verità che non è quello della pura cronaca. Così facendo, comunque, lascia intravedere qualcosa di sé che non era programmato, di cui forse addirittura non era nemmeno consapevole. La scelta di far morire l’inquilino e la condanna del padre ci rimandano a un fondo oscuro di paure, questa volta non del personaggio Randolph ma dello stesso Dirk Kurbjuweit.
Finzione
L’uomo del seminterrato assilla un architetto e i suoi cari. Ma su di loro incombe pure il nonno, sempre armato
Realtà
L’autore del libro, vicedirettore dello «Spiegel», racconta di aver subito anche lui, nel 2003, la persecuzione di un inquilino