L’OROLOGIO PERFETTO DI MARIOTTI
I 25 anni di «Storia di Matilde»
Per fare di un romanzo contemporaneo un classico ci vuole un libro capace di oltrepassare, per forza di stile, il gusto del momento e un editore che ci creda al punto da farlo durare nel tempo, creando un rapporto speciale con il lettore. Secondo Pietro Citati, che ama i classici-classici molto più dei libri contemporanei, Storia di Matilde di Giovanni Mariotti è «il più bel romanzo scritto in Italia negli ultimi vent’anni» e, dopo essere stato pubblicato in prima edizione nel 1993 da un piccolo editore, Anabasi, è stato adottato e riproposto dalla Adelphi, con la determinazione che Roberto Calasso dedica a quei libri che secondo Calvino «non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire». Ora, a 25 anni dalla prima uscita e a 15 dalla seconda edizione, notevolmente ampliata, Storia di Matilde (il titolo originale era Matilde) ritorna con una postfazione dello stesso Citati.
Fu un caso, il libro di Mariotti, quando uscì: un romanzo familiare che non assomigliava a nessun altro. Intanto perché si trattava di un’unica frase, priva di segni di interpunzione tranne il punto finale, a pagina 221 (Adelphi, 12). Non un capriccio neo sperimentale ma una necessità, come scrisse Giuliano Gramigna: «Il racconto s’è impadronito del gomitolo inesauribile delle storie, dipanandolo di nuovo senza romperne il filo, secondo il principio di piacere». E poi perché la storia e le figure che ruotano attorno a Matilde catturano con un ritmo profondo chi è disposto a essere catturato dalla musica della letteratura e non solo da un intreccio avvincente: per di più qui l’intreccio è doppio e abbraccia cinque generazioni. C’è la storia della famiglia del narratore vissuta nella campagna lucchese e c’è la storia ottocentesca raccontata al narratore dal nonno diventato chef in un ristorante liberty di Besançon. Il cuore è la vicenda dell’affidamento di Matilde, nata dal peccato, a un contadino di nome Jacopo, cui poi viene sottratta poiché la contessa-madre, pentita, rivuole la figlia. Il tutto in un amalgama e in un equilibrio che hanno del miracoloso.
Un meccanismo perfettamente calcolato dal suo autore, scrittore, traduttore, giornalista, consulente editoriale, critico raffinato e ironico, nato a Pietrasanta nel 1936, che, «assediato dai bisogni della vita», si è dedicato alla letteratura degli altri in primo luogo, e poi della sua. «Alcune righe a pagina 28 — ha scritto Mariotti — parlano di un orologio dal movimento bellissimo “fabbricato da un artigiano del Giura che durante i lunghi inverni tra le montagne ha trascurato la routine del suo lavoro per il capriccio di fare almeno una volta nella vita una cosa rara e anzi unica e tale da distinguerlo dagli artigiani suoi vicini che eseguono con diligenza il loro lavoro per l’industria orologiera”. Storia di Matilde è quell’orologio». Si avverte l’eco del tempo perduto di Proust, ma anche l’epopea familiare narrata in versi dal poeta (proustiano) Attilio Bertolucci nel poema familiare La camera da letto. Un altro lettore d’eccezione, piuttosto insofferente nei confronti della narrativa dei nostri anni, Pier Vincenzo Mengaldo, recensendo Matilde, parlò di «un arco teso che afferra, senza lasciarla più, la storia, coinvolgendo interamente il pathos del narratore (e poi del lettore) nel narrato, come un vibrante poema del ricordo». Nel commentare i premi maggiori (Strega, Campiello, Viareggio) assegnati in quel 1993, Giovanni Raboni scrisse: «Infine, ho trovato ammirevole la precisione chirurgica con cui la triade ha evitato di premiare un libro che quest’anno sarebbe stato particolarmente sensato premiare, Matilde di Giovanni Mariotti (…). Chapeau».