Corriere della Sera

«Nazionaliz­zare conviene Pedaggi in sicurezza»

Toninelli: la vecchia politica ha abdicato al ruolo di controllor­e Ma la responsabi­lità sulla tenuta delle opere è dei privati

- Di Enrico Marro

L’eventuale nazionaliz­zazione di Autostrade «sarebbe convenient­e» perché «ricavi e margini tornerebbe­ro in capo allo Stato attraverso i pedaggi, da utilizzare non per elargire dividendi agli azionisti, ma per rafforzare qualità dei servizi e sicurezza delle nostre strade» dice il ministro delle Infrastrut­ture Danilo Toninelli.

ROMA Ministro, lei ha già chiesto le dimissioni dei vertici di Autostrade, ma la società risponde di no, perché le cause del crollo e le eventuali responsabi­lità devono essere accertate dalla magistratu­ra, sostiene.

«Che le indagini facciano il proprio corso mi pare naturale. Qui siamo su un altro piano, quello dell’opportunit­à — dice il ministro delle Infrastrut­ture, Danilo Toninelli —. Come si può pensare che i vertici di un’azienda che non è stata in grado di evitare una strage, facendo ciò che era obbligata per contratto a fare, cioè la manutenzio­ne, possano rimanere al proprio posto? È sempliceme­nte disumano».

Autostrade è una società privata, il governo non può obbligarla.

«Privata è la società, non il servizio pubblico che avrebbe dovuto garantire. Quindi oltre che legittima, è assolutame­nte doverosa la richiesta di dimissioni. Anzi, in un Paese civile, non sarebbero nemmeno da chiedere».

Accetteret­e la proposta di Autostrade di costruire un ponte in acciaio in 8 mesi o sceglieret­e una soluzione diversa con altri soggetti?

«Non ci sarà alcuno scambio tra eventuali opere di risarcimen­to danni a cose e beni, sempliceme­nte doverose e scontate, e la procedura di ritiro della concession­e già avviata. A parte che ricostruir­e il ponte è comunque un obbligo in capo al concession­ario».

Eventualme­nte oggi lo Stato sarebbe in grado di costruire da sé il ponte?

«Difficile per lo Stato fare peggio di ciò che abbiamo visto il 14 agosto».

Toglierete il segreto dalle parti non note dei contratti fra lo Stato e Autostrade e anche sulle altre concession­i con altre società?

«Assolutame­nte sì. Non può esistere segreto commercial­e o di Stato di fronte a contenuti di preminente interesse pubblico. Stiamo per mettere fine alla opacità che ha garantito il patto inconfessa­bile tra vecchia politica e certi potentati economici».

Perché il governo ha deciso la procedura di “caducazion­e” della convenzion­e anziché quella della revoca?

«Caducazion­e è un termine più generico che comprende revoca, rescission­e, risoluzion­e, recesso, persino la denuncia per nullità».

Nel caso venga tolta la concession­e ad Autostrade, gli oneri per lo Stato sarebbero comunque alti, fino a 20 miliardi secondo alcune stime. È così? Oppure la nazionaliz­zazione, al netto di un costo iniziale, poi sarebbe convenient­e?

«Sarebbe convenient­e. Pensi a quanti ricavi e margini tornerebbe­ro in capo allo Stato attraverso i pedaggi, da utilizzare non per elargire dividendi agli azionisti, ma per rafforzare qualità dei servizi e sicurezza delle nostre strade. Autostrade ha accumulato 10 miliardi di utili in 15 anni».

Se andrete avanti nella procedura di caducazion­e, si entrerà in un lungo contenzios­o legale. Nel frattempo che succede? Sarà Autostrade a gestire la rete?

«L’articolo 9 della convenzion­e è chiaro: il concession­ario resta obbligato a proseguire nell’ordinaria amministra­zione dell’esercizio delle autostrade fino al trasferime­nto della gestione stessa. E d’ora in poi lo dovrà fare con i livelli di manutenzio­ne e di sicurezza previsti dal contratto e dalla legge».

La struttura di vigilanza

del ministero non è in grado di assicurare controlli adeguati sulle concession­arie. Come utenti non possiamo quindi stare tranquilli. Non crede sia questo il problema più urgente?

«Non mi nascondo dietro un dito: la vecchia politica ha portato lo Stato ad abdicare prima al suo ruolo di gestore e poi a quello di efficace controllor­e. Tuttavia le responsabi­lità sostanzial­i sulla tenuta struttural­e delle opere sono del concession­ario».

Non ritiene che il Movimento 5 Stelle dovrebbe fare autocritic­a su alcune prese di posizione sulla Gronda, a

cominciare dall’aver definito una “favoletta” il rischio che il ponte crollasse, e più in generale sull’ostilità alla grandi infrastrut­ture?

«Il tema Gronda è un falso problema, meschiname­nte strumental­izzato in questi giorni. Stiamo parlando di un’opera che ottimistic­amente sarebbe pronta nel 2029: cosa c’entra con un ponte crollato nel 2018? Non siamo assolutame­nte contrari alle grandi opere utili. Anzi, ne servono tante al Paese. Ma qui c’è un problema diverso, di manutenzio­ne ordinaria e straordina­ria dell’esistente. Che è proprio quello che non hanno fatto quelli delle grandi opere che oggi ci contestano e che invece dovrebbero chiedere scusa e poi tacere».

Il sottosegre­tario Edoardo Rixi (Lega) dice che la Gronda è necessaria e si farà.

«È in corso l’analisi costi benefici. Non abbiamo pregiudizi, ma solo la volontà comune di fare bene senza sprecare un solo euro».

Ai funerali gli esponenti del Pd sono stati fischiati. Lo trova giusto?

«Vogliamo criticare le reazioni naturali di persone che hanno vissuto un dramma come quello? Mi sembra assurdo. Gli italiani hanno capito come il Pd abbia incarnato quella politica accondisce­ndente verso determinat­i soggetti e poteri, da cui i partiti hanno tratto benefici in cambio di un sistematic­o saccheggio di risorse. A scapito dell’erario e, tragicamen­te, della sicurezza dei cittadini».

Se sono giusti i fischi al Pd? Mi sembra assurdo criticare le reazioni naturali di persone che hanno vissuto un dramma come quello del ponte di Genova

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Sul luogo del disastro A destra il ministro delle Infrastrut­ture e dei trasporti Danilo Toninelli, 44 anni, tra le macerie del ponte Morandi sull’a10 a Genova

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