Corriere della Sera

Dietro le quinte il pressing del Colle su Palazzo Chigi

- di Marzio Breda

Èuna prova di forza che lo preoccupa da sempre. Un braccio di ferro in cui entrano contempora­neamente in gioco i titolari di prerogativ­e diverse (autorità portuali, ministro della Difesa, ministri degli Esteri, delle Politiche comunitari­e e dell’interno e perfino, come si è visto, la magistratu­ra), mentre rischia di passare in secondo piano la questione umanitaria, alla quale Sergio Mattarella tiene molto. Per sensibilit­à sua propria, oltre che per formazione culturale e politica. Così, è ovvio che il presidente della Repubblica abbia seguito con profonda inquietudi­ne, ieri, la vicenda del pattugliat­ore d’altura Diciotti, fermo nel porto di Catania con il suo carico di 177 migranti. Ai primi di luglio fu lui a sbloccare — con una telefonata al premier Giuseppe Conte — lo sbarco di 67 naufraghi africani a Trapani. Ma aveva avvertito Palazzo Chigi che, se si fosse riproposta un’analoga impasse, non avrebbe fatto alcuna mediazione. Anche se non si esclude che pure ieri abbia alzato il telefono.

«Non spetta a me scegliere quale nave può attraccare e quale no. La politica sulle migrazioni è responsabi­lità del governo», aveva fatto dire allora dallo staff del Quirinale. Il problema si è puntualmen­te riproposto, determinan­do una situazione altrettant­o delicata, ed ecco spiegati i dubbi e il riserbo del Colle in questa fase.

Stavolta la speranza è che l’unione europea faccia diventare una prassi, in grado di superare le regole di Dublino, la redistribu­zione (proclamata ma pochissimo applicata) di chi si avventura ad attraversa­re il Mediterran­eo mettendo a repentagli­o la vita. Pretendere con frasi minacciose l’aiuto dei nostri partner è però un azzardo, per l’italia. Infatti il pericolo è che, contraddiz­ioni politiche internazio­nali a parte (basta pensare all’atteggiame­nto dei Paesi del gruppo di Visegrad, lontanissi­mi dall’italia su questo versante), dietro l’ultima emergenza si configurin­o vari illeciti, anche gravi. E lo dimostrano certe iniziative giudiziari­e già attivate, con ipotesi di reato che non si esclude arrivino addirittur­a al sequestro di persona.

Un incrocio di sfide che il capo dello Stato di sicuro non avalla. Sia sul piano emotivo sia su quello politico-giuridico. Tanto meno può condivider­le dopo la muscolare sortita di Matteo Salvini in diretta Facebook all’ora di cena, che potrebbe prefigurar­e perfino un prossimo scontro istituzion­ale, oltre a una spaccatura in seno agli stessi partiti di governo. «Se vogliono intervenir­e il presidente della Repubblica o il presidente del Consiglio lo facciano, ma non con il mio consenso… Mi volete indagare? Indagatemi».

Un aut-aut pesantissi­mo. Mentre non sembra affatto facile che Bruxelles riesca a insediare in tempi davvero rapidi la «cabina di regia» invocata pure ieri dal premier Conte, per arrivare a una gestione unitaria del fenomeno degli sbarchi. È un tema che Mattarella ha proposto infinite volte, nei mesi scorsi. In parecchi messaggi dal Quirinale, ma soprattutt­o durante le sue visite nell’unione europea. Naturalmen­te con ben altri toni. Ciò che aveva prodotto aperture (in primis da Francia e Germania) tali da incoraggia­rlo a sperare in un cambiament­o.

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