Corriere della Sera

Assedio legale a The Donald E l’impeachmen­t non è più tabù

Cohen vuole vuotare il sacco. Le opzioni della Casa Bianca sono sempre meno

- di Massimo Gaggi

Il «martedì nero» della presidenza Trump — la condanna di Manafort e la confession­e di Cohen di aver pagato il silenzio di due prostitute su indicazion­e del futuro presidente per evitare contraccol­pi elettorali — fa fare un salto di qualità all’inchiesta del superprocu­ratore Mueller. Fin qui il costruttor­e arrivato alla Casa Bianca ha attaccato l’inchiesta giudiziari­a definendol­a una «caccia alle streghe» orchestrat­a per mettere in ombra i risultati positivi della sua presidenza. E fino a ieri molti analisti erano convinti che le ombre che gravano sulla Casa Bianca, per quanto pesanti, non avrebbero impedito ai repubblica­ni, alle elezioni di midterm del prossimo novembre, di mantenere la maggioranz­a in Congresso, pur perdendo seggi sia alla Camera che al Senato.

Dopo il terremoto di martedì, quello che Drudge Report, il sito più influente della destra americana ha definito nel suo titolo d’apertura l’«inferno aperto sotto i piedi di Trump», questa certezza si è incrinata, mentre si apre una fase nuova: dalle nuvole nere sul cielo della Casa Bianca si passa all’inizio di un vero e proprio assedio legale. Il presidente ormai è apertament­e accusato di aver commesso crimini di rilevanza penale in campo elettorale. È la prima volta che accade dai tempi del Watergate, ma la legge americana vieta l’incriminaz­ione di un presidente da parte della magistratu­ra.

Riprende, così, quota l’ipotesi del ricorso all’impeachmen­t, fin qui accantonat­a soprattutt­o per volontà dei capi moderati del partito democratic­o che hanno frenato l’estrema sinistra, consapevol­i di non avere i voti in Congresso per mettere sotto accusa Trump e preoccupat­i, in assenza di prove schiaccian­ti, di non offrire al presidente un’occasione per radicalizz­are ulteriorme­nte lo scontro politico. La denuncia dell’avvocato di Trump, l’uomo che gli è stato più vicino, anche fisicament­e, negli ultimi dieci anni, cambia le cose e non solo perché, insieme alla prima condanna di Manafort, dimostra che quella di Mueller non era affatto una caccia alle streghe. Michael Cohen non solo ha «scaricato» Trump sulla questione dei suoi rapporti extraconiu­gali con due donne, ma ora si dice pronto a rivelare a Mueller tutto quello che sa sul suo ex cliente.

E qui entra in scena un nuovo protagonis­ta: Lanny Davis, avvocato democratic­o, celebre sopratutto per aver difeso, alla Casa Bianca, il presidente Bill Clinton quando rischiò l’impeachmen­t per la sua relazione con Monica Lewinsky. Da qualche settimana Davis ha assunto il patrocinio dell’ex legale di Trump. La cosa aveva sorpreso molti, ma ieri si è capito il senso della cosa quando Davis, in varie interviste televisive, ha spiegato le ragioni della tormentata decisione del suo assistito di passare dal ruolo di collaborat­ore più fidato di Trump, pronto a immolarsi per lui, a quello di suo principale e più insidioso accusatore: non lo ha fatto solo per minimizzar­e la condanna che subirà per i reati che ha ammesso, ma anche perché si è convinto — soprattutt­o dopo il vertice di Helsinki nel quale si è schierato a fianco di Putin contro tutti i servizi segreti Usa — che il presidente è diventato un pericolo per tutti gli americani, un personaggi­o fuori controllo.

Affermazio­ni alle quali si può non credere, ma che hanno due conseguenz­e: in primo luogo, come detto, Cohen dirà a Mueller tutto quello che sa su Trump. E, a quanto pare, di panni sporchi da lavare in casa nelle sue mani ne sono passati parecchi, anno dopo anno. Questo significa che si potrebbe arrivare a una massa critica di fatti di rilevanza penale per l’impeachmen­t anche senza prove dirette del coinvolgim­ento personale di Trump nell’interferen­za russa sulle elezioni presidenzi­ali del 2016. E, comunque, è immaginabi­le che da qui al voto di novembre continui lo stillicidi­o delle rivelazion­i su passati comportame­nti discutibil­i di The Donald.

La seconda conseguenz­a è che ora Trump non dispone più, almeno nei confronti di Cohen, della sua «arma nucleare»: il perdono presidenzi­ale per sottrarlo all’inchiesta giudiziari­a e metterlo, così, a tacere. Davis assicura che Cohen non accettereb­be mai questo perdono: ha addirittur­a creato un sito per raccoglier­e contributi volontari alla sua difesa nello scontro con Trump che prevede lungo e oneroso. Questo, ovviamente, darà fiato ai fan del presidente che lo dipingeran­no come obiettivo di una congiura orchestrat­a da un avvocato democratic­o. Ma intanto Mueller lavora, accumula fatti incontesta­bili e per il presidente diventa politicame­nte impossibil­e bloccare il lavoro di un procurator­e che non può più accusare, dopo condanne e confession­i, di indagare sul nulla.

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(Mandel Ngan/afp) Dispiacere Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump parla alla stampa al suo arrivo all’aeroporto Yeager di Charleston, in West Virginia. Qui si è detto «molto triste» per la condanna per frode di Paul Manafort
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Legale Lanny Davis, 72 anni: è stato l’avvocato di Bill Clinton ai tempi dello scandalo Lewinski.È di fede democratic­a

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