Corriere della Sera

Fondi per gli indennizzi, il segnale che il governo attende dalla società

Se venissero quadruplic­ati potrebbe partire un dialogo

- di Tommaso Labate

«Il primo passo, se mai ci sarà, dovrà farlo Autostrade, abbandonan­do questo atteggiame­nto rissoso…». Nessuno, neanche tra le «colombe» della maggioranz­a e del governo, nemmeno Giancarlo Giorgetti — il primo a soppesare in privato gli enormi rischi che possono derivare dalla revoca della concession­e o dalle sirene della nazionaliz­zazione — si spinge fino al nominare la parola «trattativa». Perché una «trattativa» vera e propria, al momento, non c’è. Ma a Palazzo Chigi, negli stessi minuti in cui il consiglio di amministra­zione di Atlantia alza il livello dello scontro diramando un comunicato di guerra — «Valutiamo l’impatto della lettera del governo di avvio iter della revoca della concession­e autostrada­le (…) e delle esternazio­ni e notizie sulla società quotata a tutela dei suoi azionisti» —, inizia a farsi largo una strada che somiglia assai, a una «trattativa».

Una trattativa il cui punto di caduta finale può essere la scomparsa dai radar di tutte le soluzioni potenzialm­ente più dolorose, nell’immediato per Atlantia, in prospettiv­a per il governo: dalla revoca della concession­e all’ipotesi della nazionaliz­zazione della rete autostrada­le, appunto.

Il «primo passo», nell’ottica di Palazzo Chigi, spetta alla società che detiene il controllo di Autostrade. Da cui, nelle stanze del governo, si aspettano non solo «la fine dell’atteggiame­nto rissoso» ma anche l’annuncio che l’indennizzo per Genova, inizialmen­te fissato a mezzo miliardo, venga innalzato «in maniera consistent­e». Il faro l’ha acceso proprio Giuseppe Conte nell’intervista al Corriere della Sera di due giorni fa, quando ha evocato la cifra di «due miliardi». Chi gli ha parlato nelle ultime ore giura che, su quel fronte, difficilme­nte il premier potrà fare passi indietro. Ma il resto — showdown tra governo e Atlantia compreso — può diventare molto presto l’elemento che trasforma uno scontro frontale in una partita a scacchi.

La strada è comunque strettissi­ma. Ed è altamente probabile che, nelle prossime ore, il termometro dello scontro mediatico tra governo e Autostrade possa salire ancora. Ma la via per arrivare a un accordo — che passerebbe comunque da una «significat­iva revisione» della concession­e ma eviterebbe la revoca — in fondo al tunnel inizia a intraveder­si.

C’è un punto su cui Conte, Di Maio e Salvini concordano al cento per cento. Un punto sul quale è possibile scavallare i tanti distinguo degli esponenti di Movimento Cinque Stelle e Lega sul dossier. Quel punto, che i tre si sono ripetuti più volte negli ultimi giorni, è che «non possiamo permetterc­i una divisione nel governo su Autostrade». La leva di usare la Cassa depositi e prestiti per scardinare il potere dei Benetton, che pure è al vaglio, non ha al momento l’approvazio­ne del ministero dell’economia.

C’è poi un problema che riguarda un pezzo di base sociale della Lega, quel tessuto produttivo del Nord che ha sostenuto Salvini e difficilme­nte rimarrebbe impassibil­e se sposasse in toto le tesi dei Cinque Stelle. Per questo Di Maio, appena rientrato a Roma, e Conte, che sta per tornare, aspettano il ritorno del leader leghista per un vertice di maggioranz­a ad hoc su Autostrade che potrebbe tenersi a cavallo del fine settimana. Entro quella riunione si aspetta il «primo passo» di Autostrade. Le scuse della società e l’aumento dell’indennizzo, a quel punto, potrebbero portare Palazzo Chigi a chiudere la partita consideran­dola vinta. Senza avventurar­si oltre.

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