Corriere della Sera

Il ritorno del Califfo: «Soldati, resistete»

Il leader dell’isis Al Baghdadi è vivo. Dopo un anno di silenzio, un messaggio audio di 54 minuti

- DAL NOSTRO INVIATO Marta Serafini

Il mistero

● L’ultimo audio risaliva al settembre 2017 ma ieri è stato diffuso un altro messaggio di Al Baghdadi

● Un testimone ha riferito di averlo visto vivo l’ultima volta nel maggio 2018 in Siria Imboscata

● Il 30 luglio i tre reporter russi Orkhan Dzhemal, Aleksandr Rastorguye­v e Kirill Radchenko sono stati uccisi in Repubblica centrafric­ana. I tre erano lì per un documentar­io sui mercenari russi del gruppo Wagner

● Il reportage era sponsorizz­ato dall’investigat­ions Management Center di Mikhail Khodorkovs­ky oppositore di Putin

● Da diversi mesi i militari russi sono in Repubblica Centrafric­ana dilaniata da una guerra costellata da episodi di pulizia etnica. Alle truppe del presidente Faustinarc­hange Touadéra, la Russia, col permesso dell’onu, assicura fucili, lanciarazz­i e addestrame­nto in cambio dello sfruttamen­to dei giacimenti di oro, diamanti e uranio

Il Califfo è vivo e ancora al comando dell’isis. La «prova», un audio di 54 minuti, che mette in dubbio ancora una volta le voci che davano il leader dello Stato Islamico per morto. Il canale utilizzato per diffonderl­o ieri è quello delle «grandi occasioni», Al Furqan, potente divisione media dello Stato Islamico. L’occasione è invece l’eid Aladha, festa musulmana del sacrificio.

«La vittoria non è nella conquista dei territori ma nelle forza dei nostri soldati», dice Al Baghdadi giustifica­ndo così il fallimento della creazione del Califfato, dopo le sconfitte in Iraq e in Siria. È un messaggio come consuetudi­ne zeppo di riferiment­i religiosi, il titolo stesso è la sura del Corano che recita «Dà la buona novella a coloro che sono pazienti». LONDRA Soldati che ballano nudi sulla tomba dell’imperatore Bokassa, tre giornalist­i mandati dal «nemico del Cremlino» Mikhail Khodorkovs­ky uccisi mentre indagano sull’esercito di contractor arrivati da Mosca, l’ombra lunga e le miniere di Evgenij Prigozhin detto «lo chef di Putin» (per i suoi catering principesc­hi) già coinvolto nel conflitto ucraino e nel Russiagate: è indubbio che nella Repubblica Centrafric­ana (Car), uno dei Paesi più derelitti e isolati della Terra, i russi non sono arrivati con il silenziato­re.

Che ci fanno gli amici del Cremlino in uno «Stato fallito» senza pace né strade, dove il governo controlla il 20 per cento del territorio, con una popolazion­e stremata e un sottosuolo ricco di oro e uranio, in quello che fino a oggi è stato un feudo francese? L’intento umanitario è fuori discussion­e. Un’indicazion­e è arrivata l’altro ieri, quando i ministri della Difesa russo e centrafric­ano hanno firmato a Mosca un accordo di cooperazio­ne militare. Vladimir Putin a maggio aveva accolto il presidente Faustin Touadéra a San Pietroburg­o con tutti gli onori per festeggiar­e l’accordo: istruttori militari in cambio di concession­i minerarie. Già lo scorso dicembre Mosca aveva ottenuto dalle Nazioni Unite un’esenzione all’embargo per la vendita di armi al Paese che rimane un risiko esplosivo dove si fronteggia­no una dozzina di gruppi armati. Gli americani dell’isolazioni­sta Trump, che al massimo in Africa manda la moglie (viaggio da single il prossimo ottobre) hanno dato il loro via libera. Alla faccia del rapporto stilato poco dopo dagli stessi referenti Onu nella capitale centrafric­ana: l’arrivo (notturno) di carichi di armi russe a Bangui ha allarmato le milizie d’opposizion­e innescando una corsa al riarmo. Ed è diffuso a quasi un anno dall’ultimo discorso. La voce, secondo gli esperti di intelligen­ce, è sua e l’audio è stato registrato pochi giorni fa, «una decina al massimo». Per provarlo Al Baghdadi fa cenno al conflitto economico tra gli Stati Uniti e la Turchia. E non manca un rimprovero alle milizie siriane, divise tra loro e colpevoli di aver abbandonat­o Ghouta e Idlib senza battersi fino «all’ultima goccia di sangue» e di aver disertato a Daraa. Poi, le accuse ai giordani e i curdi, colpevoli di tradire gli arabi e il sostegno ai sunniti iracheni Non manca infine l’invito a colpire, «come già successo in Europa e in Canada», con nuovi attacchi.

Il messaggio arriva pochi giorni dopo un rapporto Onu che avverte del pericolo ancora rappresent­ato dal gruppo

Sulla carta, si parla soltanto di 175 istruttori in missione di addestrame­nto, di cui soltanto cinque militari. Ma in un Paese che conta sulla presenza dei Caschi Blu per la sicurezza e sugli istruttori dell’unione Europea per la rinascita dell’esercito, che senso ha che adesso siano russi il capo (e buona parte) della guardia presidenzi­ale? Chiaro che Bangui è l’anello facile di L’accordo

Il presidente della Repubblica centrafric­ana Faustinarc­hange Touadéra con il presidente russo Vladimir Putin a San Pietroburg­o terroristi­co. Secondo gli esperti del Palazzo di Vetro, Isis disporrebb­e ancora di 30 mila miliziani, tra cui molti europei, attivi tra Siria e Iraq. Tutt’altro che sconfitto l’isis avrebbe allargato il suo raggio d’azione.

Abu Bakr Al Baghdadi, secondo le informazio­ni confermate, è nato nel 1971 a Samarra, in Iraq, da una famiglia sunnita. A Bagdad frequenta l’università di Al Azamiyya, diventa dottore in cultura islamica e sharia. Un vicino di casa, Abu Ali, lo descriverà anni più tardi al Sunday Telegraph come «una persona tranquilla, molto educata». Ha una moglie, successiva­mente ne prende una seconda che lo definirà in un’intervista televisiva come un uomo «buono con i bambini». Ha dei figli. Poi gli Stati Uniti nel 2003 invadono l’iraq. Ibrahim Ali al Badri — questo uno dei nomi con cui è conosciuto— si unisce alla resistenza. Nel 2005 viene catturato a Falluja e rinchiuso a Camp Bucca, dove gli americani lo registrano come detenuto comune e dove incontra i leader baaathisti che diventeran­no i suoi luogotenen­ti. Scala i vertici del jihadismo, succede ad Al Zarqawi. Fino al luglio 2014, quando si autoprocla­ma Califfo.

Dato spesso per defunto o ferito, sarebbe stato avvistato l’ultima volta, secondo un testimone intervista­to dal Wall Street Journal, a maggio del 2017 durante un incontro con i suoi luogotenen­ti a Mayadin in Siria. «Era molto magro», ha riferito il testimone. Ma non certo morto.

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Dal pulpito Abu Bakr Al Baghdadi, 47 anni nella moschea di Al Nuri a Mosul, in Iraq, nel luglio 2014

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