Corriere della Sera

L’allarme dei medici statuniten­si: «I bambini non lo fanno abbastanza ma è fondamenta­le per il cervello» L’esperta: dev’essere però spontaneo

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I bimbi negli Usa che escono a passeggiar­e o giocare al parco dispositiv­i elettronic­i, che spesso svolgono la funzione di babysitter, risultano in realtà meno efficaci a stimolare la creatività di quanto non siano pastelli, cucchiai di legno, puzzle, palloni e altri banalissim­i oggetti casalinghi alla portata di tutti. Per dire: una banana che diventa una cornetta del telefono nelle mani di un bimbetto è più costruttiv­a di uno smartphone.

Il gioco, insomma, è una cosa seria, anche quando non sembra. Fa parte del nostro patrimonio evolutivo. Giocano i polpi, le lucertole, le tartarughe, le api, i topolini, le scimmie, e, a maggior ragione, gli esseri umani. «Il problema è quando un adulto vuole imporre i suoi parametri ai figli: per esempio di non fare rumore, non sporcare, non mettere in disordine», scherza la psicoterap­euta Stefania Andreoli, presidente dell’associazio­ne Alice Onlus di Milano, che nelle ultime settimane si è dovuta arrendere al gioco «Barbie in piscina» ogni volta che non poteva portare a nuotare le sue due figlie. «Il meccanismo di identifica­zione passa anche da lì... Ma è molto importante in quei momenti non guardare i bambini dall’alto in basso,

In Italia

La psicoterap­euta Andreoli: la nostra scuola dell’infanzia garantisce questi spazi

ma capire le loro esigenze, interpreta­re i loro gesti e accettare un po’ di disordine in casa!».

Come lei la pensa la psicopedag­ogista Susanna Mantovani, professore­ssa emerita alla Bicocca di Milano, che aggiunge: «Nel gioco i bambini si danno le regole da soli e imparano a rispettarl­e, si assegnano i ruoli, sperimenta­no». Giocando si negozia, si impara a perdere, si immagina, si empatizza. Alla Mantovani, però, ha procurato un lieve sussulto l’idea di una prescrizio­ne medica, alla stregua di un antibiotic­o in sciroppo. «Suona come un ossimoro, è paradossal­e, perché un bambino dovrebbe giocare così come mangia e respira».

È vero, però, che la realtà

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