Corriere della Sera

Da marzo a giugno, 40 miliardi in più nei nostri istituti

- di Sergio Bocconi

Se non si può dire si tratti di un’operazione di «sistema», è legittimo pensare che le somigli molto. Le banche italiane, a fronte dei disinvesti­menti dall’estero sul nostro debito pubblico, hanno esercitato in sostanza una funzione di «supplenza». Certo, non saranno mancate logiche opportunis­te di mercato, acquisti a prezzi calanti, ma l’aumento dello stock di titoli di Stato italiano nei portafogli dei nostri istituti di credito è evidente nel secondo trimestre di quest’anno e rappresent­a un’inversione di tendenza. Interventi che comportano comunque una maggiore esposizion­e al rischio spread e pesano sui coefficien­ti patrimonia­li.

Secondo le statistich­e Bankitalia fra maggio e giugno 2018 i titoli del debito pubblico italiano detenuti dal sistema bancario sono aumentati da 365,6 a 370,4 miliardi. In marzo lo stock era a 336 miliardi: ciò significa che nel secondo trimestre 2018 gli acquisti netti si sono aggirati sui 40 miliardi. Un aumento è rintraccia­bile anche fra le principali 7 banche retail: secondo R&S Mediobanca i nostri big detenevano a fine 2017 titoli di Stato per 193,5 miliardi (l’8,9% del totale attivo), cifra cresciuta a fine giugno a 196,7 miliardi (9,1%). Numero uno è Intesa Sanpaolo con 75 miliardi, in leggera flessione nel trimestre, secondo Unicredit con 55 miliardi, in lieve aumento. Un cambio di rotta rispetto a un generale calo avviato dal 2015: a fine 2014 le principali banche avevano in cassaforte debito pubblico domestico per 238,6 miliardi, e il sistema a fine maggio 2017 per 386 miliardi.

In ogni caso, e a maggior ragione se la quota di bond pubblici domestici cresce, gli istituti sono esposti alla volatilità dello spread. Un aumento del differenzi­ale Btp-bund, oltre che incidere sul costo della raccolta (tanto è vero che le emissioni da parte delle banche si sono rarefatte), influisce sui coefficien­ti di solidità patrimonia­le. Se a fine marzo 2018 il capitale di migliore qualità era pari in media al 13,2% delle attività ponderate per i rischi (il common equity tier 1, Cet1), in aumento di 170 punti base in 12 mesi, nelle semestrali Intesa indica un calo del Cet1 di 35 punti base nel secondo trimestre dell’anno per la salita dello spread a 238, Unicredit di 30 punti base: oggi lo spread è a 270 dopo aver superato i 300 punti in maggio. E da aprile l’indice delle banche italiane quotate in Borsa ha perso oltre 26,5%, più del doppio rispetto a quello europeo. Uno stress test sul campo, in attesa della a manovra d’autunno, che si aggiunge a quello dell’eba i cui risultati saranno resi noti il 2 novembre.

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