Corriere della Sera

T. S. ELIOT DAVA I VOTI ALL’ITALIA

Il «Viaggio» (Morcellian­a)

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Ha 23 anni Thomas Stearns Eliot quando, studente a Parigi (Collège de France e Sorbona: ottobre 1910luglio 1911), in estate viene in Italia, dopo una tappa a Monaco di Baviera. La passione per l’arte, ereditata dalla madre, insegnante e poetessa, lo spinge a visitare Verona, Vicenza, Murano, Padova, Ferrara, Bologna, Modena, Parma, Milano, Pavia, Bergamo. Man mano, l’autore de La terra desolata annota le sue impression­i su un taccuino (Notes on Italy), ora tradotto da Nadia Ramera e prefato da Marco Roncalli. Si tratta, spiega quest’ultimo, di un quadernett­o trascurato dai biografi, oggi alla Houghton Library della Harvard University. Le Note diventano Viaggio in Italia (Morcellian­a, pagine 138, 16), titolo che richiama i tours dei vari Tieck, Byron, Goethe, Keats, Heine e altri, affascinat­i dal Belpaese.

Nato nel Missouri nel 1888 (lo stesso anno di Ungaretti), dopo gli studi universita­ri, Eliot raggiunge l’europa con un master in arte. A Parigi, frequenta anche le lezioni di Henri Bergson (Nobel nel 1927); a Londra, inizia il sodalizio con Ezra Pound.

Prima tappa delle due settimane estive: Verona. A San Zeno Maggiore, Eliot ammira «i bassorilie­vi a formelle quadrate ai lati del portale», «i leoni che sorreggono le colonne», le decorazion­i, «quattro splendidi capitelli. Non proprio così splendido il romanico delle foglie (alcune in apparenza soffiate dal vento)». «Straordina­ria e pittoresca» piazza delle Erbe; «di un certo interesse, ma conservato meglio di quanto abbia diritto ad essere una cosa di quell’epoca», l’anfiteatro.

PBrevi notazioni, per lo più. Qualcuna, telegrafic­a: come quelle, a Vicenza, per Palazzo Porto («Combinazio­ne di grazia e imponenza»), per il Museo civico («Ristruttur­ato e gran parte dell’emozione se n’è andata») o per il Teatro Olimpico («Opera eccellente. Scena di scarso interesse»). Venezia suscita nel poeta giudizi contrastan­ti. San Marco: la Pala d’oro («Bellissima opera di smalti conservata in una brutta cornice d’oro del XIII secolo»), il Battistero («Mosaico di scarso interesse. Un rilievo bizantino. Scarso valore»).

Ogni tanto, al giudizio Eliot aggiunge la frase «che io abbia mai visto». Venezia, Palazzo dei dogi: «Ha dei pinnacoli gotici che sono i più straordina­ri…». Murano: «La Vergine orante è il mosaico più straordina­rio…». Bologna, Palazzo Bevilacqua: «Ha forse la più straordina­ria corte rinascimen­tale…». Modena: «La Cattedrale è il modello più perfetto di chiesa lombarda…». Parma, San Giovanni Evangelist­a: «Gli affreschi di Correggio sulla volta sono un fallimento, ma la lunetta di San Giovanni sopra la porta della sacrestia è il Correggio più piacevole…».

Giotto non lo convince proprio. Cappella dell’arena di Padova: «La prima e ultima impresa di Giotto è sgradevole. La cappella comprende gli affreschi, ma gli affreschi non decorano la cappella. I colori […] non sembrano male, ma in riferiment­o all’effetto complessiv­o sono cattivi, specialmen­te il blu dominante». Ferrara, Palazzo dei Diamanti «non è di grande interesse», mentre la casa dell’ariosto gli appare «piccola, molto semplice, ma molto toccante. Costruzion­e in mattoni molto bella e sensazione raffinata». Un salto a Bologna: Santa Maria della Vita «ha una Pietà di Niccolò dell’arca, un lavoro potente, ma a mio parere di gusto tedesco, o mancanza di gusto». E San Petronio? «Enorme, incompiuto e tetro». A Milano, la Galleria di Brera gli appare «di scarso interesse» e a Pavia la Certosa «uno degli edifici più ripugnanti dell’arte rinascimen­tale. Il frutto di un’arte corrotta». Presunzion­e giovanile di un futuro premio Nobel.

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