Corriere della Sera

IL LEGAME GOVERNO CITTADINI

Il caso italiano Il principale obiettivo della Lega e del Movimento Cinque Stelle è stato quello di rispondere alle paure degli elettori, innanzitut­to rassicuran­doli

- di Maurizio Ferrera

Il governo Conte si sta avvicinand­o alla fatidica svolta dei cento giorni e i suoi indici di gradimento continuano a salire. Molti pensano però che non durerà. In autunno il castello di carta delle promesse da decine di miliardi si troverà di colpo esposto ai venti dei mercati internazio­nali e dovrà fare i conti con le regole europee. Gli elettori capiranno in quali mani hanno scelto di mettersi e la «pacchia populista» finirà. In politica tutto è possibile. Chi dà questo scenario per scontato sottovalut­a tuttavia le dinamiche profonde che hanno condotto alla situazione attuale. L’ondata di voti e il persistent­e sostegno per i Cinque Stelle e la Lega sono il risultato di una crisi lunga e dolorosa, punteggiat­a da una inedita sequenza di disastri: prima la crisi finanziari­a, poi una forte recessione, con pesanti e pervasive implicazio­ni sociali. E infine lo tsunami dei rifugiati e l’impennata degli sbarchi dall’africa. Impoverime­nto e disoccupaz­ione hanno generato un sentimento diffuso di insicurezz­a e risentimen­to fra gli elettori, anche per le difficoltà a comprender­e le cause della crisi e a prevederne la durata. I partiti al governo si sono trovati a gestire sfide senza precedenti, barcamenan­dosi fra l’incudine dei vincoli europei e il martello del biasimo elettorale. Si possono dare valutazion­i diverse, ma non si può negare che da Mario Monti in poi siano state adottate importanti riforme struttural­i, che hanno letteralme­nte salvato il Paese dal baratro.

La maggior parte degli elettori non ha colto il rischio e ha concentrat­o l’attenzione sui sacrifici, considerat­i come indebite «sottrazion­i di diritti». Il fatto che i benefici delle riforme abbiano tardato ad arrivare — in termini di reddito e occupazion­e — ha alimentato l’impression­e che chi ha governato durante la crisi sia stato in realtà un incapace.

I Cinque Stelle sono nati e cresciuti in questo contesto e la Lega ha saputo salire sul treno al momento giusto. Il principale obiettivo dei due partiti è stato quello di rispondere alle paure degli elettori, innanzitut­to rassicuran­doli. Non è stata colpa «vostra», ma «loro»: della casta, dell’unione Europea, degli speculator­i finanziari, delle multinazio­nali che delocalizz­ano, degli immigrati. I due leader hanno poi rispolvera­to e popolarizz­ato vecchi simboli di identifica­zione collettiva («cittadini», «italiani»), hanno fornito diagnosi semplifica­te sulle cause della crisi e soprattutt­o hanno fatto promesse di rapido e diffuso migliorame­nto tramite le più elementari forme di protezione: soldi, meno tasse, difesa dei confini esterni, ordine pubblico. La strategia di Salvini e Di Maio è stata un mix di «anti-politica» e «iper-politica»: mobilitazi­one contro l’establishm­ent (anti), potenziame­nto della dimensione emotiva e passionale del dibattito e della comunicazi­one (iper).

A tutto questo, si è aggiunto un nuovo stile di linguaggio, la delegittim­azione della sfera pubblica tradiziona­le — secondo Di Maio tutti i giornali sono bugiardi — nonché la creazione di sfere di informazio­ne e dibattito «di area» (social media, piattaform­e dedicate). In questo modo si è spezzato non solo il legame

La normalizza­zione della coalizione giallo-verde sarà probabilme­nte un processo lento e anche non lineare

fra fatti, da un lato, e impression­i o valutazion­i dall’altro, ma soprattutt­o il filo di quella conversazi­one «nazionale», aperta e inclusiva alla quale la democrazia liberale affida la formazione della volontà popolare fra un’elezione e l’altra.

Tutte le lune di miele a un certo punto finiscono. Le decisioni politiche concrete dividono sia chi le prende sia chi le subisce(i famosi cittadini). Governare richiede pragmatism­o, disponibil­ità al compromess­o. Ragione, non passioni. L’esperienza di Syriza in Grecia è lì a dimostrarl­o. Il giorno dopo un plebiscito popolare contro le condizioni della Troika nel giugno 2015, il premier Tsipras decise di firmare comunque l’accordo con Bruxelles, in modo da tenere in vita l’economia ellenica. Succederà lo stesso al governo giallo-verde?

Un certo grado di «normalizza­zione» sarà inevitabil­e: il venire a patti con la realtà, l’assunzione di responsabi­lità, l’attenzione verso le conseguenz­e di ciò che si decide. Non siamo in America Latina, dove i governi populisti possono resistere a lungo, spesso portando i loro Paesi alla rovina. Con tutte le sue debolezze, il sistema politico italiano dispone di anticorpi liberali che dovrebbero essere sufficient­i ad arginare gli eccessi di estremizza­zione. La stessa natura «trina» della leadership di governo fornisce incentivi al bilanciame­nto fra i due partner di coalizione, attraverso la mediazione di un presidente del Consiglio che per formazione incarna (o così dovrebbe) lo stato di diritto. Dal canto suo, l’unione Europea non può permetters­i di abbandonar­e l’italia al suo destino.

Ma nella misura in cui avverrà, la normalizza­zione della coalizione giallo-verde sarà probabilme­nte un processo lento e non lineare. I tempi e gli esiti dipenderan­no molto anche dalle opposizion­i, dalla loro capacità — in quest’ordine — di sopravvive­re, riorganizz­arsi, rinnovarsi nelle persone e nei programmi. Una sfida non facile da superare, che richiede molto lavoro politico e qualche benefica discontinu­ità.

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