IL LEGAME GOVERNO CITTADINI
Il caso italiano Il principale obiettivo della Lega e del Movimento Cinque Stelle è stato quello di rispondere alle paure degli elettori, innanzitutto rassicurandoli
Il governo Conte si sta avvicinando alla fatidica svolta dei cento giorni e i suoi indici di gradimento continuano a salire. Molti pensano però che non durerà. In autunno il castello di carta delle promesse da decine di miliardi si troverà di colpo esposto ai venti dei mercati internazionali e dovrà fare i conti con le regole europee. Gli elettori capiranno in quali mani hanno scelto di mettersi e la «pacchia populista» finirà. In politica tutto è possibile. Chi dà questo scenario per scontato sottovaluta tuttavia le dinamiche profonde che hanno condotto alla situazione attuale. L’ondata di voti e il persistente sostegno per i Cinque Stelle e la Lega sono il risultato di una crisi lunga e dolorosa, punteggiata da una inedita sequenza di disastri: prima la crisi finanziaria, poi una forte recessione, con pesanti e pervasive implicazioni sociali. E infine lo tsunami dei rifugiati e l’impennata degli sbarchi dall’africa. Impoverimento e disoccupazione hanno generato un sentimento diffuso di insicurezza e risentimento fra gli elettori, anche per le difficoltà a comprendere le cause della crisi e a prevederne la durata. I partiti al governo si sono trovati a gestire sfide senza precedenti, barcamenandosi fra l’incudine dei vincoli europei e il martello del biasimo elettorale. Si possono dare valutazioni diverse, ma non si può negare che da Mario Monti in poi siano state adottate importanti riforme strutturali, che hanno letteralmente salvato il Paese dal baratro.
La maggior parte degli elettori non ha colto il rischio e ha concentrato l’attenzione sui sacrifici, considerati come indebite «sottrazioni di diritti». Il fatto che i benefici delle riforme abbiano tardato ad arrivare — in termini di reddito e occupazione — ha alimentato l’impressione che chi ha governato durante la crisi sia stato in realtà un incapace.
I Cinque Stelle sono nati e cresciuti in questo contesto e la Lega ha saputo salire sul treno al momento giusto. Il principale obiettivo dei due partiti è stato quello di rispondere alle paure degli elettori, innanzitutto rassicurandoli. Non è stata colpa «vostra», ma «loro»: della casta, dell’unione Europea, degli speculatori finanziari, delle multinazionali che delocalizzano, degli immigrati. I due leader hanno poi rispolverato e popolarizzato vecchi simboli di identificazione collettiva («cittadini», «italiani»), hanno fornito diagnosi semplificate sulle cause della crisi e soprattutto hanno fatto promesse di rapido e diffuso miglioramento tramite le più elementari forme di protezione: soldi, meno tasse, difesa dei confini esterni, ordine pubblico. La strategia di Salvini e Di Maio è stata un mix di «anti-politica» e «iper-politica»: mobilitazione contro l’establishment (anti), potenziamento della dimensione emotiva e passionale del dibattito e della comunicazione (iper).
A tutto questo, si è aggiunto un nuovo stile di linguaggio, la delegittimazione della sfera pubblica tradizionale — secondo Di Maio tutti i giornali sono bugiardi — nonché la creazione di sfere di informazione e dibattito «di area» (social media, piattaforme dedicate). In questo modo si è spezzato non solo il legame
La normalizzazione della coalizione giallo-verde sarà probabilmente un processo lento e anche non lineare
fra fatti, da un lato, e impressioni o valutazioni dall’altro, ma soprattutto il filo di quella conversazione «nazionale», aperta e inclusiva alla quale la democrazia liberale affida la formazione della volontà popolare fra un’elezione e l’altra.
Tutte le lune di miele a un certo punto finiscono. Le decisioni politiche concrete dividono sia chi le prende sia chi le subisce(i famosi cittadini). Governare richiede pragmatismo, disponibilità al compromesso. Ragione, non passioni. L’esperienza di Syriza in Grecia è lì a dimostrarlo. Il giorno dopo un plebiscito popolare contro le condizioni della Troika nel giugno 2015, il premier Tsipras decise di firmare comunque l’accordo con Bruxelles, in modo da tenere in vita l’economia ellenica. Succederà lo stesso al governo giallo-verde?
Un certo grado di «normalizzazione» sarà inevitabile: il venire a patti con la realtà, l’assunzione di responsabilità, l’attenzione verso le conseguenze di ciò che si decide. Non siamo in America Latina, dove i governi populisti possono resistere a lungo, spesso portando i loro Paesi alla rovina. Con tutte le sue debolezze, il sistema politico italiano dispone di anticorpi liberali che dovrebbero essere sufficienti ad arginare gli eccessi di estremizzazione. La stessa natura «trina» della leadership di governo fornisce incentivi al bilanciamento fra i due partner di coalizione, attraverso la mediazione di un presidente del Consiglio che per formazione incarna (o così dovrebbe) lo stato di diritto. Dal canto suo, l’unione Europea non può permettersi di abbandonare l’italia al suo destino.
Ma nella misura in cui avverrà, la normalizzazione della coalizione giallo-verde sarà probabilmente un processo lento e non lineare. I tempi e gli esiti dipenderanno molto anche dalle opposizioni, dalla loro capacità — in quest’ordine — di sopravvivere, riorganizzarsi, rinnovarsi nelle persone e nei programmi. Una sfida non facile da superare, che richiede molto lavoro politico e qualche benefica discontinuità.