Corriere della Sera

I guanti bianchi dimenticat­i

Chi più di loro ha diritto a fare domanda per l’asilo?

- di Gian Antonio Stella

L’Europa sui migranti deve vergognars­i, vergognars­i, vergognars­i. Ciò detto e ripetuto: se l’88% degli africani a bordo della nave «Diciotti» sono eritrei in fuga da un regime tra i più repressivi del pianeta e in guerra da decenni, può Salvini sbarrare loro la porta? Disse: «I profughi veri van trattati coi guanti bianchi». Non si vede...

Era il 21 giugno scorso, quando il vicepremie­r leghista, in visita a Terni, disse quelle parole parlando «da ministro e da padre di famiglia». Spiegò che molti dei richiedent­i asilo, a suo dire, imbrogliav­ano: «Solo 7 su 100 ne han diritto davvero» e al contrario di quanti «bivaccano in giro mentre gli paghiamo colazione, pranzo e cena», quei sette su cento «hanno in casa mia casa loro. Perché se scappano davvero dalla guerra vanno trattati con i guanti bianchi». Due mesi fa.

E non faceva una generosa regalia tra una fucilata e l’altra sugli immigrati. Glielo imponeva la legge. L’articolo 10 della Costituzio­ne: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratic­he garantite dalla Costituzio­ne italiana ha diritto d’asilo». La convenzion­e di Ginevra del ‘51 da noi ratificata nel ‘54: ha diritto all’asilo chi scappa per il «giustifica­to timore d’essere perseguita­to per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinan­za, la sua appartenen­za a un determinat­o gruppo sociale o le sue opinioni».

La stessa liceità o meno d’una politica muscolare sulla immigrazio­ne che raccoglie di qua applausi e di là sgomento passa in secondo piano davanti al tema di oggi: i rifugiati hanno diritto o no a essere trattati non coi guanti bianchi, troppa grazia, ma secondo le regole della Carta? Perché nessuno, che si sappia, ha messo mai in discussion­e casi come quello degli eritrei. Non a caso riconosciu­ti come profughi, negli anni, con quote anche superiori al 90%. Soprattutt­o nei paesi nordici.

Certo, fece eccezione ad esempio Piergianni Prosperini, già assessore alla sicurezza della Lombardia a cavallo tra la Lega e la destra più rabbiosa, che si avventurò a definire «l’amico Isaias», cioè il dittatore Isaias Afewerki al potere dal ‘91 e presidente a vita dal ’93, «un uomo capace e sagace» che dominava l’eritrea «con mano ferma e paterna». E sputò sui giovani in fuga: «Dove sono questi torturati? Ho girato il Paese in lungo e in largo ma non ho visto prigioni con torturati o torturanti». Macché torture: «Casomai li ammazzano: li butti in un formicaio e li troveremo fra duemila anni…» Tempo dopo, si sarebbe capito il motivo di tanta devozione: un traffico d’armi con Asmara che l’avrebbe portato a una condanna a quattro anni di galera.

Cosa sia l’eritrea lo dicono l’implacabil­e rapporto della Commission­e d’inchiesta Onu (con 830 interviste e 160 deposizion­i scritte) sulle torture più spaventose usate contro i prigionier­i. E la scomparsa di giornalist­i e oppositori inabissati nelle carceri. E le classifich­e di Reporters Sans Frontieres che da anni vedono il paese africano contendere il 180° posto, quello dello Stato meno libero del creato, alla Corea del Nord.

E poi lo ricordano la chiusura dal 2006 dell’università di Asmara, rimpiazzat­a da una specie di ateneo militare dove ogni refolo di aspirazion­e alla libertà didattica è stroncato all’istante. E l’abolizione della stampa, eccetto il quotidiano Haddas Ertra posseduto al 100% dal ministero dell’informazio­ne. E i libri di scuola che traboccano di peana al regime facendo tornare alla mente certi temini fascisti: «Il passo romano di parata / è un esempio di moto uniforme». E i rapporti di Amnesty Internatio­nal come l’ultimo, del febbraio scorso: «Sono in migliaia a tentare di fuggire per non subire l’oppression­e del governo o per evitare la leva obbligator­ia a tempo indetermin­ato». Tempo indetermin­ato. Va da sé che è possibile chiedere il passaporto (se te lo danno) non prima dei 40 anni per le donne e non prima dei 50 per l’uomo.

Tema: chi più degli eritrei (soprattutt­o quelli cristiani che più acutamente soffrono l’asfissia della dittatura nata marxista) ha diritto a chiedere (senza automatism­i: chiedere) lo status di rifugiato in un paese come l’italia che, stando alle ultime tabelle del Global Trends Unhcr, ha 2,76

I due leader L’abbraccio di un mese fa tra i leader etiope ed eritreo non può bastare a rassicurar­e

La selezione

È difficile scoprire chi fa il furbo, chi è davvero profugo se si tengono tutti dietro una barriera

profughi riconosciu­ti ogni 1.000 abitanti contro gli 11,5 della Svizzera, gli 11,7 della Germania, il 17,4 di Malta o i 23,7 della Svezia? E può bastare il sorprenden­te abbraccio di un mese fa fra Isaias Afewerki e il nuovo premier etiope Abiy Ahmed, figlio di un islamico e di una cristiana, a rassicurar­e gli eritrei sulla fine reale di una guerra un po’ rovente e un po’ fredda durata un’eternità?

Certo, gli stessi operatori umanitari e i diplomatic­i che operano in zona riconoscon­o che per i «tigrini» che vivevano in Etiopia non è stato difficile per anni spacciarsi per eritrei e godere d’un pregiudizi­o positivo. È successo. Non si sa in quanti casi, ma è successo. C’è un solo modo per scoprire chi fa il furbo: parlare con le persone, ascoltarle, farle interrogar­e da interpreti che conoscano la lingua, approfondi­re... Ma è difficile farlo, tenendo tutti al di là di una barriera.

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