Corriere della Sera

«Dai trafficant­i spari e botte». I racconti degli sbarcati

Ai minori accolti nei centri della Sicilia latte, biscotti e vestiti puliti. Il fan di Totti: peccato non giochi più

- Fabrizio Caccia

Adesso Amina ha di nuovo il sorriso dei suoi 16 anni: «Sulla nave Diciotti ci hanno dato da mangiare biscotti e latte. Ci hanno dato i vestiti puliti e ci hanno fatto usare l’acqua e il sapone», racconta a Emiliano Abramo di Sant’egidio, che ieri è andato a trovarla al centro Tarhib Sicilia di San Michele di Ganzaria, vicino Caltagiron­e. «Temevo proprio che mi avrebbero riportato in Somalia — dice Amina —. Sono andata via dal mio Paese per la violenza. Non si può vivere laggiù, sarei morta sicurament­e». Racconti da brividi, il suo come quello degli altri 26 minori non accompagna­ti, 25 maschi e due femmine, sbarcati a Catania. Amina ora è con un’altra ragazza, eritrea, a Caltagiron­e. I ragazzi, invece, sono rimasti a Catania e dopo tanto penare si aprono finalmente con Nathalie Leiba, la psicologa di Medici senza frontiere e Giovanna Di Benedetto di Save the children. «Io sono tifoso della Roma, grande Francesco Totti...», scherza Fashaye. «Ma Totti non gioca più...», lo informa la psicologa di Msf. E lui, in perfetto inglese: «Ah, non lo sapevo, ma ho passato in Libia l’ultimo anno e mezzo prigionier­o dei trafficant­i. Ora vorrei solo tornare a scuola e studiare. Restare in Italia mi andrebbe benissimo».

Del loro passaggio in Libia forniscono dettagli terribili. Ecco Samir, 17 anni, anche lui eritreo come gli altri: «Un anno fa mi sono trovato in mezzo al deserto, senz’acqua, con i trafficant­i che litigavano tra loro per spartirsi i gruppetti di profughi. Uno allora ha sparato un colpo in aria. Il proiettile, ricadendo, mi è entrato nella spalla destra ed è riuscito. Non ho mai potuto operarmi, adesso non riesco a chiudere le dita della mano». Ecco Samuel, 17 anni: «Sono fuggito dall’eritrea per evitare il servizio militare, perché laggiù dura tutta la vita e non hai diritti. Sono passato per il Sudan, poi in Libia ho passato gli ultimi 8 mesi chiuso in un container, al buio, insieme ad altri ragazzi eritrei, somali, etiopi e delle Isole Comore. Senza mai poter uscire o parlare, altrimenti erano botte. Ora non ci vedo più, sono quasi cieco. Sono stato venduto due volte dai trafficant­i: ogni volta i miei nuovi aguzzini mi torturavan­o per obbligarmi a chiamare i parenti a casa e farmi mandare altri soldi, in tutto il mio viaggio è costato 9 mila dollari. Ma c’è anche chi è rimasto in Libia tre anni e ha pagato 16 mila dollari per essere qui. Ho visto tante persone morire accanto a me. Adesso sogno di riabbracci­are i miei amici lasciati in Libia e pure quelli con cui sono partito e che sono ancora in attesa a bordo della Diciotti. Spero di rivederli presto».

Fuga dalle vessazioni Alcuni erano prigionier­i in Libia da oltre un anno Altri erano obbligati a chiedere soldi ai parenti

 Ho passato gli ultimi 8 mesi in un container senza poter parlare né vedere Ora sono quasi cieco Samuel, 17 anni

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