Imprese e negozi: «Vanificati i sacrifici di anni»
C’è chi è fuggito lasciando i computer accesi. Centinaia di famiglie a rischio
GENOVA Ci sono aziende che dalle 11.36 del 14 agosto sono ferme. Sedi abbandonate in tutta fretta con i computer accesi, lavorazioni piantate a metà, cassa integrazione e futuro incerto. E poi le attività commerciali: è difficile immaginare di sopravvivere in una via finita in zona rossa. Chi viene a comprare merci o servizi? E se anche qualcuno volesse, perché puntare a quel negozio, a quel rivenditore, sapendo che con la chiusura delle strade il traffico per arrivarci è quantomeno doppio rispetto al solito? Va così in via Fillak, via Porro, via Lorenzi ....
«Qui non entra più nessuno» giurano i pochi commercianti aperti di via Fillak che si stanno contattando per organizzare un comitato, «una qualche forma di tutela, perché non è giusto che a noi non dia una mano nessuno», dice Roci Artan davanti alla porta del suo colorificio. Dal lato ovest del Morandi sono le piccole aziende della zona rossa a soffrire. Giovanni Cassano, amministratore unico della Ferrometal (ritiro e smaltimento rottami) è sconfortato: «Non abbiamo accesso all’azienda, siamo bloccati. Siamo 13 lavoratori più io e mio fratello: 15 famiglie in attesa di futuro. Lavoriamo solo con due-tre contratti grossi che al momento non possiamo rispettare. Se i tempi fossero lunghi per noi sarebbe la fine dell’attività». Enzo Garbarino, amministratore delegato dell’autodemolizione che porta il suo nome, racconta che «siamo su piazza da 50 anni e siamo a 50 metri dal ponte, con 10 dipendenti. Per noi il problema grave è che se anche ci trasferissimo ci servirebbero anni per avere le autorizzazioni e lavorare. Avevamo inaugurato i nuovi impianti. La situazione è tragica, temo che se ne andranno i sacrifici di due generazioni».
«Siamo scappati lasciando i computer accesi» ricorda Luigi Orlando, alla guida di Ecolegno, Revetro ed Ecocart. Sono le ditte che si occupano del 30% della raccolta differenziata di Genova. «Aspettiamo che la perizia ci dica cosa possiamo fare e cosa rischiamo. Abbiamo 40 dipendenti e un indotto enorme: 200 camion al giorno. Dopo i morti e i feriti ci sono anche le famiglie che devono mangiare. Mi aspetterei un po’ di rispetto, e invece non abbiamo un referente. Nessuno che ci dica di che morte moriremo».
Guido Porta è l’amministratore delegato di Fuori Muro, la società che nel porto si occupa della movimentazione dei treni. La linea ferroviaria è interrotta dalle macerie, quindi niente treni, operai fermi. «Abbiamo un mancato fatturato da 10 mila euro al giorno» dice Porta, «e abbiamo dovuto utilizzare la cassa integrazione a rotazione». Anche lui, come tutti, aspetta che il Morandi ferito muoia per sempre. Per voltare pagina.
L’autodemolizione «Siamo su piazza da 50 anni e siamo a 50 metri dal ponte, con 10 dipendenti. È tragico»