Corriere della Sera

Il monito del Nobel rimasto inascoltat­o

- di Antonio Carioti

Era il 12 marzo 1975 quando Franco Modigliani, del quale nello scorso giugno è stato ricordato il centenario della nascita, scrisse dal Massachuse­tts Institute of Technology (dove insegnava da lungo tempo dopo aver lasciato l’italia per via delle leggi razziali) al direttore generale della Banca d’italia (divenuto pochi mesi dopo governator­e) Paolo Baffi.

I due economisti erano assai preoccupat­i per l’accordo tra sindacati e Confindust­ria sull’adeguament­o dei salari al costo della vita, la cosiddetta «scala mobile». E in questo documento Modigliani, che già aveva avanzato forti critiche sul «Corriere» del 3 febbraio e del 9 marzo, ribadiva la sua posizione. Senza un parallelo rilancio della produttivi­tà, a suo parere aumenti retributiv­i automatici e uguali per tutti, come quelli previsti dall’intesa, potevano solo generare inflazione e disoccupaz­ione.

Modigliani, che dieci anni dopo avrebbe ricevuto il premio Nobel, si stupiva che i suoi colleghi economisti e i politici, eccettuato il vicepresid­ente del Consiglio Ugo La Malfa (capo del governo era Aldo Moro), tacessero di fronte ai pericoli da lui denunciati. Se si pensa alle vicende che poi ebbero al centro l’esigenza di superare la scala mobile per frenare l’inflazione (come il duro scontro tra il governo Craxi e il Pci sul decreto del 1984 che tagliava la contingenz­a), non si può negare che l’allarme di Modigliani fosse fondato.

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