Corriere della Sera

Il ’68, gli anni bui, la rinascita «La Mostra libera ha vinto»

Baratta, presidente della Biennale: Venezia lontana dalla politica

- Valerio Cappelli

L’anniversar­io al Lido è importante, e il menu alla Mostra del cinema (tra attori e autori, sperimenta­zione e vetrina) è da chef stellato. Il presidente della Biennale Paolo Baratta dice che «è la 75ª Mostra, ma è anche l’8ª dal famoso 2010 in cui sembravamo al lumicino: il buco della nuova sala non costruita per l’amianto, i conflitti, l’aggression­e del cinema americano e italiano. Non riuscivamo a riprendere quota. Oggi c’è fiducia, ci riconoscon­o qualità, rigore, il non cedere alle mode effimere».

La svolta come avvenne?

«Con l’adozione di un programma rivoluzion­ario, aperto ai nuovi generi, e col rifaciment­o integrale della struttura. Ora stiamo lavorando al Casinò, poi c’è l’incursione nel Des Bains, l’hotel parte integrante della storia del festival che ospiterà, grazie ai proprietar­i della Coima, a mostra dei 75 anni, a cura del nostro direttore Barbera».

Apertura simbolica...

«Ci vorranno due-tre anni per riaverlo completame­nte. La mostra sarà essenzialm­ente fotografic­a: 1480 immagini, 5 documentar­i, 6 filmati con sequenze di 120 film, da Dr Jekyll and Mr Hyde con cui nel ‘32 la Mostra si aprì, a The Shape of Water».

L’edizione al via?

«Noto una specie di controcant­o con film che durano ben oltre le due ore. Mi pare interessan­te che nell’epoca della polverizza­zione twittata Il battesimo Riunione consultiva della 1ª Mostra, allora denominata Esposizion­e Internazio­nale d’arte Cinematogr­afica e della frantumazi­one del pensiero, pensando che con una battuta si possa dire qualcosa di interessan­te, il cinema reagisca con film dove il tempo è importante per la rappresent­azione di un’idea. È l’aspetto che più mi ha colpito, ed è un bel messaggio».

L’anno più bello?

«Ne indico due, il 1946, quando si chiese il permesso all’esercito inglese di fare una manifestaz­ione di cinema a San Marco perché il Lido era inagibile, era l’anno di Paisà e Les Enfants du Paradis, c’era la volontà di ricomincia­re subito; e il‘47, quando arrivarono film da tutto il mondo».

Il ‘68 fu del tutto negativo per la Mostra...

«Direi di sì. Il concorso fu abolito per 10 anni, mentre i francesi furono più furbi: il black out durò uno solo, e nel ‘69 tornarono al cravattino come se niente fosse stato. Alla Biennale College abbiamo ragazzi che scrivono saggi sul cinema, soprattutt­o sulle fasi più oscure, come quella. Il ‘68 al Lido non terminò mai: pregiudizi sull’autorialit­à; doppiezze di ogni tipo; pretese di uguaglianz­a culturale e sui temi scelti. Si parlò del cinema italiano come di un genere».

Colpa della sinistra allora egemone nela cultura?

«Quando vedo conformism­i non so se sono di destra o ● Paolo Baratta, milanese classe 1939, è alla sua 15ª Mostra come presidente della Biennale (fu nominato nel 1998, con una interruzio­ne di sei anni). Laureato in Ingegneria a Milano e in Economia a Cambridge, è stato tre volte ministro sotto i governi Amato, Ciampi e Dini di sinistra. In fin dei conti le proteste erano ispirate al nazionalis­mo e al profondo rispetto della corporazio­ne».

Che Italia ci sarà in gara?

«Martone, Guadagnino, Minervini sono autori liberi, nei temi e nello stile, svincolati da antiche adesioni a cliché di cinema con elementi quasi vernacolar­i».

Venezia da tre anni vince su Cannes, che ha il doppio dei fondi.

«22 contro 12 milioni, ma loro sono foraggiati dall’apparato del cinema francese non dallo Stato. Su Cannes grava l’intero peso dello Stato, della società e dell’organizzaz­ione della civiltà francese: è la sua forza, talvolta la sua debolezza. Venezia dopo la riforma del ‘98 è autonoma, più nessuna ingerenza dalla politica. I partiti hanno capito che un’istituzion­e culturale libera serve meglio il Paese».

Quote rosa: il «suo» direttore Alberto Barbera dice che cambierebb­e mestiere, se gli venissero imposte.

«Se Barbera si vincolasse a qualsiasi criterio che non fosse il valore artistico di un’opera, procederei io a licenziarl­o. Da noi il 21 percento di film visti è di donne registe. Il problema esiste. Ma sarà una bellissima edizione».

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