Nibali e Aru, missione in Spagna per tornare quelli di una Vuelta
I due azzurri, vincitori 2010 e 2015, cercano la rinascita dopo i guai a Tour e Giro
Scatta domani da Malaga, Andalusia, con una crono individuale di 8 chilometri e sei curve in tutto, uno dei Giri di Spagna più azzurri di sempre. Vuoi perché alla Vuelta 2018 sono iscritti 20 italiani, vuoi perché il numero 1 è sulle spalle di Vincenzo Nibali, vuoi perché c’è Fabio Aru che prova a rientrare nel ruolo di grande del ciclismo dopo un Giro d’italia disastroso. E vuoi perché i nostri due migliori cacciatori di classiche, finalmente esplosi quest’anno, vestiranno uno la maglia tricolore (Elia Viviani), l’altro (Matteo Trentin) quella appena conquistata a Glasgow di campione d’europa. La concorrenza è di altissimo livello (Quintana, Porte, Pinot, Uran e i gemelli Yates per la classifica, Sagan e Kwiatkowski per il resto) ma le nostre punte azzurre
Obiettivi importanti
Il siciliano punta a tornare in forma per il Mondiale, il sardo deve dimenticare il flop rosa
più che vittorie (di tappa o finali) cercano soprattutto se stesse.
Vincenzo Nibali l’abbiamo lasciato dolorante sull’asfalto dell’alpe d’huez un mese fa, quando un tifoso maldestro (favorito da un’organizzazione colabrodo) schiacciò contro l’asfalto i suoi sogni di gloria al Tour e la sua decima vertebra toracica. Da allora il messinese è passato attraverso molto dolore, un’operazione complicata (un cilindretto di cemento tiene assieme le sue costole da uccellino), allenamenti solitari e tanti punti di domanda. Della Vuelta dice: «L’ho voluta correre a tutti i costi perché è un passaggio decisivo per il Mondiale di Innsbruck Pro e contro Vincenzo Nibali, 33 anni, firma autografi al Tour: l’eccessivo entusiasmo dei tifosi gli è costato la caduta sull’alpe d’huez in cui si è fratturato una vertebra sbattendo sulla radiolina che aveva sulla schiena (Bettini) del 30 settembre. Di queste tre settimane non conta il risultato, ma se qualcosa dovesse saltare fuori ben venga».
Un altro corridore, incassata a marzo la straordinaria vittoria di Sanremo, avrebbe potuto tirare i remi in barca e recuperare con calma. Nibali no: il Mondiale col suo percorso durissimo è un tassello che manca a un palmares già unico. Il siciliano riflette anche sul suo futuro. Durante il Tour spezzato ha capito che la sua Bahrain-merida è troppo fragile per garantirgli un appoggio importante nelle due ultime stagioni che gli restano da correre: nove contratti sono stati già rescissi (tra questi quelli degli inconsistenti fratelli Izagirre), due «pensionamenti» conclusi.
Fabio Aru ricomincia da molto più lontano, da quel Colle delle Finestre sulla cui cima, il 24 maggio al Giro, non riuscì nemmeno a salire, schiacciato dai suoi fantasmi e da gambe vuote. Dopo un lungo stop il sardo ha corso il giro di Vallonia e quello di Polonia senza infamia e senza lode. Tre giorni fa ha interrotto tre mesi di silenzio assoluto sui social media con due righe su Twitter: «Parto per la Spagna dove avrò il piacere di condividere con voi un breve pensiero quotidiano». Più che un tweet, aspettano segnali importanti di corsa sia la sua Uae Emirates (pesano i 2,5 milioni di salario) sia il commissario tecnico Davide Cassani che ha bisogno di qualche buona ragione per poterlo convocare al Mondiale, in un ruolo ancora difficile definire. Non troppo profondi fino a oggi gli esiti dell’autoanalisi della crisi al Giro (allergia alimentare? abuso di altura?) e i segnali di un necessario cambio di guida tecnica. Fabio ha vinto la Vuelta nel 2015, in quella che fu l’ultima stagione davvero positiva. Qui ha a disposizione otto tappe davvero dure, poca cronometro e una buona squadra dedicata a lui.