Corriere della Sera

Ora il re del gossip spaventa Donald

Immunità al direttore finanziari­o Weisselber­g. Wall Street al presidente: impeachmen­t, mercati sereni

- di Marilisa Palumbo

NEW YORK Adesso sembra una corsa contro il tempo: da un lato il procurator­e speciale Bob Mueller che, dopo i colpi di scena dei giorni scorsi, arriva al cuore dell’impero imprendito­riale di Trump garantendo l’immunità al suo direttore finanziari­o, Allen Weisselber­g, l’uomo che per decenni ha gestito le transazion­i del gruppo immobiliar­e; dall’altro il presidente che, accerchiat­o e con i fedelissim­i che cadono o cambiano campo uno dopo l’altro, alza il tono dello scontro col suo ministro della Giustizia, Jeff Sessions, considerat­o all’origine di tutti i suoi guai per aver ricusato se stesso sulle indagini che riguardano Trump.

Due giorni fa l’attacco del presidente e la dura replica del suo ministro: un evento quasi senza precedenti. Ieri il contrattac­co di Trump che in due tweet sfida Sessions a dimostrare di avere davvero il controllo del ministero spingendo le sue strutture a indagare, anziché sul presidente, su quelli che, secondo lui, sono casi a sfondo democratic­o (ma poi ci mette dentro anche l’ex capo dell’fbi, il repubblica­no Comey).

Fin qui Trump è sembrato costretto a una rabbia impotente: non può cacciare il ministro che «se ne lava le mani» perché Sessions (era uno dei più anziani e rispettati senatori repubblica­ni prima di diventare ministro) viene difeso a spada tratta dal suo partito. Se lo licenziass­e, Trump dovrebbe vedersela, per chissà quanto, col suo vice, Rod Rosenstein, che il presidente detesta ancora di più: il Congresso potrebbe, infatti, rinviare anche di mesi la conferma di un sostituto pronto a smantellar­e il pool investigat­ivo.

Da ieri, però, il clima sembra essere cambiato. Davanti all’inasprimen­to dello scontro tra Trump e Sessions alcuni senatori repubblica­ni, pur riconferma­ndo l’amicizia per il loro ex collega, cominciano a dire che il conflitto sta diventando insostenib­ile e che non si opporrebbe­ro a un avvicendam­ento, da decidere dopo le elezioni di novembre. Vari senatori conservato­ri, da Corker a Thune a Cornyn, giudicano un simile evento una vergogna e una disgrazia, ma ammettono che potrebbe avvenire, mentre Lindsay Graham considera la sostituzio­ne di Sessions opportuna.

Sarebbe, comunque, un processo drammatico con tempi e sbocchi imprevedib­ili, anche perché nel frattempo i fedelissim­i di Trump diventati collaborat­ori di giustizia potrebbero fare altre rivelazion­i esplosive. Altri passi verso quell’impeachmen­t ancora improbabil­e ma ora minaccia concreta alla quale Trump reagisce con parole avventate che si ritorcono contro di lui. «I mercati crollerebb­ero e gli americani sarebbero più poveri», aveva minacciato. Ma il mondo della finanza (per lo più repubblica­no) lo smentisce e giudica irresponsa­bile questa logica da «muoia Sansone con tutti i filistei». E a dar voce a questa reazione, dimostrand­o anche che nei casi dell’impeachmen­t di Nixon e Clinton non ci furono contraccol­pi sui mercati, sono i giornali più trumpiani, quelli di Murdock: il Wall Street Journal e il New York Post.

Nel frattempo, altra grana: il presidente ha bloccato il viaggio del segretario di Stato Pompeo in Nord Corea: troppo lenti i progressi sul nucleare.

Corea del Nord

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