LA MONTAGNA SUI SOCIAL: COM’È STUPIDO INVOCARE LA LIBERTÀ DI FARSI MALE
Sui social media, protagonisti di questo tempo scardinato, certe affermazioni inoculano nel corpo sociale veleni pericolosi; segnalarne i rischi può servire da antidoto. Scriveva ieri il Corriere che il Soccorso Alpino, davanti alle foto di turisti in scarpe da ginnastica sul ghiacciaio del Breithorn, forse per evitare il passaggio alle infradito, ha esortato ad andare in montagna prudenti e ben attrezzati. Sui social, accanto a messaggi di sostegno, non manca chi invita i soccorritori a consentire, a chi vuol fracassarsi, di farlo in libertà. Un post arriva a sostenere: «Se i soccorritori non sono orgogliosi di entrare in azione in qualunque circostanza, cambiassero mestiere: nessuno li obbliga». Chi abbia partecipato, o solo assistito a un soccorso in montagna, sa la complessità tecnica di certi interventi e l’audacia spesso richieste; ogni tanto qualche soccorritore paga addirittura con la vita tale altruismo. Senza la libertà non esiste l’alpinismo; esso può dare grandi soddisfazioni ma comporta rischi che ognuno deve soppesare in rapporto alle proprie capacità, al tempo e alle condizioni della montagna. Come diceva il grande alpinista trentino Bruno Detassis, da poco morto nel suo letto a quasi cent’anni, si scala anzitutto con la testa; mani e piedi vengono dopo. Sarebbe bene usare il cervello anche prima di battere sulla tastiera. A parte che anche chi è libero di sfasciarsi l’osso del collo ha parenti che ovviamente implorano soccorso, quel post è incivile e stupido. Anzitutto perché ragiona come chi butta l’immondizia per strada: tanto per raccoglierla ci sono gli spazzini. I soccorritori, poi, a differenza di quanto afferma il post, non lo fanno di mestiere; sono volontari, che dedicano tempo e fatica a questa attività, nella gran parte dei casi gratuita (solo per interventi molto complessi c’è qualche compenso). Chi va in montagna non deve, con i propri comportamenti, esporli a rischi irragionevoli.