Dalla bombetta al cappellino
Considerato un semplice accessorio, è diventato un modo per connotarsi e identificarsi. La teoria del Guardian
La sintesi perfetta arriva dal Regno Unito. Ed eccola, quasi per contrappasso rappresentata dalla bombetta, la quasi corona del gentleman british di fine ‘800. Già all’epoca riuniva le caratteristiche della nuova e contemporanea identità stilistica del cappello da uomo: complemento dell’abbigliamento maschile; funzione pratica di riparare (in origine dalla pioggerellina londinese) e non da ultimo, dettaglio distintivo di un preciso stile.
Se in origine la bombetta era il ritratto di un preciso mondo maschile (come non ricordare il look dell’integerrimo George Banks bancario della City e datore di lavoro di Mary Poppins?), oggi è solo più un vezzo. Ma incarna l’identità odierna del cappello, passato da semplice accessorio a un modo per connotarsi-identificarsi, nonché ripararsi: proprio come lo fu la bombetta. Visti gli sconvolgimenti climatici di oggi ripara non dalle piogge ma dal sole.
I parenti stretti della bombetta, a dire i modelli classici a tesa larga di diversa ampiezze, come Fedora o lobbia, resistono, ma hanno passato il testimone a soluzioni diverse. I britannici le definiscono con l’espressione hat tricks: mutuata da quel meraviglioso gioco che è il cricket, esprime il concetto del trucco del capello magico, quello da cui il prestigiatore fa uscire conigli e mazzi di fiori. Tradotto: la soluzione che non ti aspetti. Così il magico copricapo che oggi risolve il problemi di look maschile e ne identifica il cambiamento stilistico generazionale, come ha di recente analizzato il quotidiano britannico The Guardian,è rappresentato dai cappellini: ovvero quelli con visiera da baseball, ma anche coppole o a campana, cosidetti da pescatore. Così oggi il sold out del cappello «lobbia style» anni ’60 sfoggiato con arroganza da Don Draper, il protagonista di Mad Men, avvenuto nel 2011 quando Banana Republic lanciò una limited edition omaggio alla serie tv non si verificherebbe più. Al contrario sono i capelli più morbidi e pratici, da poter arrotolare e tenere in tasca quelli che furoreggiano. Anche perché - sottolinea il quotidiano british - i guardaroba maschili presentati sulle ultime passerelle - inverno a venire e futura estate - guardano sempre più al mondo street style e sportwear. Emblematico il caso di Virgil Abloh. L’attuale direttore creativo di Louis Vuitton affonda le radici distile in collaborazioni, dai cappellini alle tute, con i rapper hip-hop Kanye West e Skepta, ovvero l’universo street Usa e british. Se negli anni ’30 il mondo del
baseball non vedeva il tradizionale capellino dei giocatori come simbolo, ma il Fedora; come del resto il modello a larghe tese rappresentava Michael Jackson; oggi brand come Palace E Supreme sono di riferimento e rappar del calibro di Travis Scott e Asap Rocky le icone fashion delle generazioni attuali.
Va aggiunto che al mix climatico non potesse che corrispondere un mix nel guardaroba. L’inverno prossimo ecco il bermuda sotto il cappotto e in testa capellino con visiera o da pescatore. A leggervi una definitiva entrata a pieno diritto del baseball hat nello stile, al pari di ciò che furono bombetta e Fedora. Del resto come racconta Terry Newman nel libro Legendary authors and the clothes they wore, sulla specularità tra i grandi della letteratura e i loro guardaroba, tu sei ciò che indossi e viceversa. Lo sapeva Tom Wolfe. Il giornalista e scrittore scomparso nel maggio 2018, del cappello aveva fatto una propaggine del corpo. Bianco, come i suoi completi e rigorosamente a tesa larga. Vi si identificava. Oggi cambio di rotta. Di scena il cappellino. Prendendo a prestito il titolo del noto romanzo di Wolfe, la moda è Il falò delle vanità. Ma dalle ceneri, come la Fenice, rinasce sempre una nuova identità.