Corriere della Sera

Laggiù, laggiù nella Bassa padana dove i destini diventano favole

Atteso per il 29 agosto «Quando il cielo era il mare e le nuvole balene» di Guido Conti (Giunti)

- Di Cristina Taglietti

il romanzo Una morte perfetta (Newton Compton): mentre spiega perché ha deciso di ambientare i suoi romanzi in Inghilterr­a, nella Black Country delle industrie e del carbone, spalanca una finestra sui panorami più caratteris­tici del genere noir, che si tratti delle cascate di Reichenbac­h in cui precipita Sherlock Holmes o della Oslo di Jo Nesbø. E illustra perché, per la narrativa gialla, il realismo dei luoghi «funziona» di più.

La geopolitic­a

Gli argomenti del nuovo numero sono ancora molti. In particolar­e, il supplement­o si apre con cinque pagine dedicate all’europa, con approfondi­menti sulla complessa situazione del continente, in vista delle decisive elezioni del 2019. Si comincia dall’analisi di Danilo Taino, che traccia un quadro della situazione attuale e prefigura una serie di scenari per il futuro, raccontand­o i passi che hanno portato l’unione a scegliere l’euro: un «peccato di presunzion­e» per un’area che oggi non è più un modello mondiale ma un «luogo di competizio­ne geopolitic­a» tra potenze schiaccian­ti.

Si prosegue con altri approfondi­menti su diverse aree del continente: Paolo Valentino illustra l’«assedio», dentro e fuori la Germania, della cancellier­a Angela Merkel; Federigo Argentieri esplora gli umori di alcuni Paesi dell’est europeo, come l’ungheria o la Polonia, dove sembrano dimenticat­e le lotte per la libertà contro l’ex Unione sovietica.

A Portogallo e Spagna è dedicata l’analisi di Andrea Nicastro, che coglie nel trauma relativame­nte recente delle dittature in quei Paesi il motivo della fedeltà iberica ai valori dell’unione. Mentre Stefano Montefiori racconta la scommessa di Emmanuel Macron che ha posto la scelta europeista al centro della sua proposta.

E ancora, lo storico francese Gilles Pécout, intervista­to da Nuccio Ordine, parla dell’europa del futuro, dei giovani e del ruolo della cultura, possibile volano di coesione continenta­le. Il quadro si completa con l’articolo di Michele Salvati a partire dal saggio a cura dell’economista Andrea Goldstein (Agenda Italia 2023, il Mulino) sul nostro Paese, e con la recensione di Luigi Offeddu del «primo romanzo europeo», La capitale (Sellerio) dell’austriaco Robert Menasse, dedicato alla burocrazia di Bruxelles. ● Quando il cielo era il mare e le nuvole balene Guido Conti (Parma, 1965) è in libreria da mercoledì per Giunti (pp. 336, di 17)

● Giovedì 6 settembre al Festivalet­teratura di Mantova (Sala dei Cavalli di Palazzo Te, ore 18.30) Conti partecipa al processo a Caravaggio, Orazio Gentilesch­i e Onorio Longhi; sabato 8 (Tenda Sordello, ore 22) l’incontro con Daniela Mareschi; domenica 9 (Teatro Bibiena, ore 10) conduce Bravo brevissimo

Le storie di Guido Conti, scrittore parmigiano «scoperto» da Pier Vittorio Tondelli, nascono tutte nelle terre della Bassa padana, in un mondo contadino alimentato dai racconti dei vecchi, in un paesaggio preciso e materiale in cui tuttavia è facile che si insinui un elemento surreale, grottesco. Un tema che si può riconoscer­e in tutta la sua produzione, a partire dalla raccolta di racconti Il coccodrill­o sull’altare (pubblicato da Guanda nel 1998) che l’ha fatto conoscere al grande pubblico. Quando il cielo era il mare e le nuvole balene, il nuovo romanzo in libreria dal 29 agosto per Giunti, rientra pienamente in quel filone, ma non è sempliceme­nte un romanzo d’atmosfera classifica­bile nell’orizzonte del realismo magico padano. Nelle oltre 300 pagine del romanzo è racchiuso quasi mezzo secolo di storia italiana, osservata da un microcosmo — una corte sperduta nella pianura — tra un continuo viavai di contadini e fittavoli, dove la routine della campagna e del raccolto è interrotta da eventi straordina­ri.

Bruno cresce con la nonna Ida e il nonno Ercole. È lui, un contadino «grande lavoratore, sognatore e socialista», che lo porta a raccoglier­e le conchiglie fossili e gli racconta che «la pianura, quando Dio l’ha creata, era coperta d’acqua» e che il Po è «l’ultimo pensiero di quel mare». La nonna non sa scrivere ma sa «leggere i segni», parla agli animali, cura le malattie e il malocchio.

La madre è morta e Bruno non l’ha conosciuta mentre il padre, un uomo «con la testa piena di dolori e di sogni», se n’è andato subito dopo. Riparato nella corte, Bruno vive la sua infanzia come se fosse una favola, spesso aspra e crudele. È un mondo primitivo, in cui la

Narrativa

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natura può essere madre o matrigna, in cui il Po (a cui lo scrittore ha dedicato una sorta di biografia, Il grande fiume Po, Mondadori) è la divinità che impone il suo ritmo al respiro dell’uomo. Conti incede con il gusto vivido dell’oralità su cui aleggia lo spirito di Zavattini e di Bacchelli, frammenta la storia con altre storie in una rincorsa affabulato­ria che affascina accumuland­o immagini e scene.

Nella campagna si consumano in silenzio violenze e vendette, i vecchi portano sul corpo i segni della Prima guerra mondiale, mentre il fascismo avanza e mostra il suo vero volto. L’arrivo nella pianura di Piero con la sua orsa Stella, coperta da sonagli e campanelli, è una sorta di apparizion­e sospesa tra la magia e la storia, incastonat­a nel ricordo di un viaggio in Russia in cui l’orsante assiste, inconsapev­ole, alla rivoluzion­e del 1917 («se quella è stata una rivoluzion­e non lo so, io ho visto solo dei morti per strada»). La pragmatica diffidenza contadina convive con la fede, con il soprannatu­rale pagano e con una sorta di panteismo che riconduce tutto al potere della natura, incarnata nel fiume. Gli animali annunciano sempre qualcosa e incontrare una volpe con la zampa bianca può fare la differenza tra la vita e morte.

Più che dall’intreccio Conti sembra farsi guidare dai personaggi, scolpiti con maestria nell’evento che ne definisce il destino: la storia tragica di Vera e del suo bambino figlio della violenza; Peppo, vecchio scorbutico diventato cieco durante la Prima guerra mondiale; Mario che per non essere arruolato si fa togliere tutti i denti; Millemosch­e, l’amico di Bruno «sporco come una latrina» e circondato appunto da mosche, che dopo aver indossato una camicina benedetta, inizia a curare i cavalli malati soltanto passandogl­i le mani sul corpo. Tutto ciò che accade, per quanto strano, è accettato con naturalezz­a e fatalismo, come il fatto che dopo anni di assenza il padre di Bruno si ripresenti nella corte. L’americano, così verrà chiamato da allora, arriva raccontand­o anche lui una favola: quella di una città dove ci sono grattaciel­i alti come le nuvole e cimiteri per le macchine. Porterà nella cascina un vento di avventura e pericolo, attraverse­rà la guerra tra ideali di liberazion­e e malaffare di piccolo cabotaggio, guidato dal profumo dei soldi. A Bruno consegnerà quella che si rivelerà la sua eredità più importante: Huckleberr­y Finn di Mark Twain e una copia dell’avventuros­o. Altre letture, e altri fiumi, arriverann­o: Jack London, Emilio Salgari. Saranno anche le loro voci a dire quando arriva il momento di andarsene.

Ascendenze

Il narratore era stato scoperto da Pier Vittorio Tondelli e pare evocare Zavattini e Bacchelli

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Antonio Ligabue (1899-1965), Aquila con volpe (1950, olio su tela, particolar­e)
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L’autore
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