Corriere della Sera

L’apertura ad Assad non cancelli i suoi crimini

- di Lorenzo Cremonesi

Pur obtorto collo, dobbiamo ammettere che ha buoni motivi l’ex presidente americano Jimmy Carter nel sostenere la necessità che anche le potenze occidental­i, Stati Uniti ed Europa in testa, sdoganino la politica del dialogo con la dittatura siriana. Il vecchio slogan «Bashar Assad deve andarsene», cresciuto con la repression­e contro le rivolte della popolazion­e siriana già alla fine del 2011 e poi con il ricorso alle armi chimiche, non solo è stato superato dalla vittoria contro i rivoltosi, ma soprattutt­o esclude l’occidente dalla fase della ricostruzi­one lasciando campo libero a Russia e Iran. Inoltre, la carenza di aiuti umanitari e la mancanza di cooperazio­ne economica prolungano povertà e sofferenze tra i civili.

Tuttavia, l’urgenza pragmatica del dialogo non può far dimenticar­e ciò che è accaduto in Siria negli ultimi sette anni. In primo luogo, Assad e la sua nomenklatu­ra corrotta e nepotista, legata a filo

Le ragioni di Carter L’urgenza dell’aiuto alla popolazion­e non deve cancellare abusi e torture

doppio agli alawiti e le altre minoranze (tra cui quella cristiana), sono rimasti in piedi unicamente grazie al sostegno militare ed economico di Mosca e Teheran. Senza di loro già nel 2013-14 il regime sarebbe rovinosame­nte caduto. Questi resta dunque largamente impopolare tra la maggioranz­a sunnita. Lo provano i milioni di profughi ancora in Turchia, Giordania, Libano ed Europa. Molti di loro non tornano a casa anche perché temono le vendette, le torture, i desapareci­dos. Sotto la copertura ipocrita della «normalizza­zione» trionfa il regno della paura. Va aggiunta la verità scomoda (per Assad) della strumental­izzazione degli estremisti islamici e dello stesso Isis per eliminare con brutalità metodica le opposizion­i moderate e democratic­he. Uno dei grandi successi del regime è stato reclutare i jihadisti in modo da elidere qualsiasi partito che potesse raccoglier­e l’aiuto e le simpatie delle democrazie occidental­i. Oggi l’alternativ­a resta tra Assad e il caos. Ma solo tenendo a mente tutto ciò e con l’intento di cambiarlo potremo contribuir­e alla ricostruzi­one.

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