Conte: io resto qui solo per un giro Il passo del premier per frenare gli alleati
Il capo del governo lancia un primo avvertimento. Martedì una riunione di maggioranza
«Io sto avendo l’opportunità e la fortuna di servire il Paese da presidente del Consiglio. Ma questo è il mio unico giro. Poi non cercherò candidature o altro, tornerò serenamente al mio lavoro». Nei giorni più caldi di agosto, quando al dibattito sulla nazionalizzazione della rete autostradale si era andata ad aggiungere la crisi diplomatica e umanitaria sulla nave Diciotti, Giuseppe Conte ha lasciato cadere tra gli alleati di governo un’annotazione che la dice lunga sul suo futuro. Questo è il suo «unico giro», one shot, non ce ne saranno altri.
Certo, l’uomo è apparso finora poco incline agli ultimatum, è un «mediatore nato» (come lo definisce Di Maio), «pignolo all’inverosimile» (questa sottolineatura è dei leghisti), uno che fa iniziare le riunioni di governo in ritardo (facendo innervosire i maniaci della puntualità come Paolo Savona) per la smania di leggere i documenti del pre-consiglio fino all’ultima riga, maniaco più degli angoli da smussare che degli spigoli da appuntire. Eppure, alle orecchie di quei ministri che hanno ascoltato la sua riflessione, l’annotazione del presidente del Consiglio è risuonata come una specie di warning. Come un semaforo giallo, volto a tentare di frenare le fughe in avanti dei due pezzi di maggioranza che sui dossier più delicati — dalle autostrade alle pensioni, dall’immigrazione alle relazioni internazionale — stanno dimostrando la loro plastica difficoltà a marciare uniti.
A Palazzo Chigi, tra chi presidia le stanze del potere esecutivo negli ultimi scampoli d’estate, la tendenza è gettare acqua sul fuoco. D’altronde, gli ottimi rapporti personali che si sono instaurati tra Di Maio e Salvini hanno lasciato, tanta o poca che fosse, la polvere sotto il tappeto. Eppure più d’uno, tra quelli che hanno i contatti più stretti col presidente del Consiglio, si spinge ora a segnalare che «da settembre le cose cambieranno». Un ministro, in cambio dell’anonimato, la mette così: «Fino a oggi, ciascuno ha fatto il proprio gioco davanti all’elettorato, spesso superando i limiti del contratto di governo. Cosa cambia? Diciamo che per Conte, dalla prossima settimana, a sorvegliare sul rispetto dei paletti dovrà intervenire una specie di Var», e il riferimento è a quella moviola che consente all’arbitro di una partita di calcio di serie A di rivedere le azioni più contestate e di poter prendere così le decisioni.
Entra così in campo il Comitato di conciliazione previsto dal contratto di governo, che potrebbe esordire la settimana prossima su alcuni dei temi più spinosi su cui si cerca — finora invano — di parlare con una voce sola: da Autostrade all’immigrazione. Conte ne ha bisogno subito, e una serie di riunioni politiche (presenti il premier, Salvini, Di Maio, Giorgetti e i ministri interessati ai dossier) aprirà la strada già da martedì. Il punto è, nell’ottica del premier, è ristabilire i confini del ruolo dell’«arbitro» soprattutto per quando si aprirà la partita della legge di Stabilità. Lega e M5S rispondono a due elettorati diversissimi; la prima è compatta, i secondi sono divisi in due fazioni, più nell’elettorato che a livello di classe dirigente. Accontentare tutti sarà impossibile. Ecco perché il premier ha bisogno subito di ristabilire l’ordine. Prima che la strada si complichi ulteriormente, e forse per evitare che dalla segnalazione che «questo è il mio unico giro» non si arrivi alla minaccia che nessuno, a Palazzo, ha ancora avuto il coraggio di pronunciare. Quella delle «dimissioni».
La mediazione Entra in campo il comitato di conciliazione previsto dal contratto