L’ANTICIPAZIONE
IL FILM DOMENICA A VENEZIA
● Patierno è autore, di varie pellicole, tra le quali «Pater Familias» (2002); «Il mattino ha l’oro in bocca» (2007); «Cose dell’altro mondo» (2011); «La gente che sta bene» (2014); «Naples ‘44» (2016); «Diva!» (2017)
«Spero che io non cadrei malato perché se cadessi malato io il sangue me lo farei dare da lui, perché è un sangue nobile e degno d’essere amato». Lo sgarrupato elogio di un abitante di Ottaviano, tratto da vecchie interviste, mostra quanto fosse marcio il rapporto tra tanti napoletani affogati nel degrado e Don Raffae’.
Raffaele Cutolo era allora il capo indiscusso della Nuova camorra organizzata, era finito in galera giovanissimo per aver ucciso un bullo reo di una battuta sulla sorella Rosetta, aveva raccolto dal carcere un esercito di tremila pronti a tutto per lui («si vede che ho seminato bene»), era indicato come il padrino spietato che aveva deciso decine di omicidi ma i paesani lo chiamavano «’O professore» perché sapeva leggere e scrivere e parlavano di lui con dedizione: «È un uomo semplice, sincero e leale...». «Siamo nati con lui e moriremo con lui». «È come il nostro santo protettore». Ed è lui, col contorno di orridi alveari urbani, di una umanità sfatta e violenta, di panzute matrone del contrabbando e tredicenni che sniffano eroina e capitelli devozionali e passanti che scansano i cadaveri sul selciato, il perno di «Camorra», il documentario di Francesco Patierno che sarà presentato domenica alla Mostra del cinema di Venezia per poi andare in onda martedì prossimo su Rai3.
Scritto col saggista Isaia Sales da sempre nemico della lebbra che «infetta Napoli e le province tutte» (primo rapporto governativo del 1861), secco come il titolo, privo di ogni indulgenza e ogni cenno a «pizza & mandolino», costruito coi filmati straordinari degli archivi Rai, il docu-film non pretende di raccontare tutto. Ma, come spiega il regista, mettere a fuoco un momento storico preciso, a cavallo tra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta, quando la camorra cambia pelle e «da malavita di campagna, di territorio, senza struttura, senza cupole» viene contaminata dai boss mafiosi sciaguratamente inviati in domicilio coatto in quelle aree a rischio. È lì che «lascia la “guapponeria” al teatro e fa il salto di qualità». Diventando sempre più ingorda, cinica, feroce. Allungando i suoi tentacoli sul racket più asfissiante, il traffico di droga, i rifiuti tossici, il «cemento di sabbia» della ricostruzione corrotta dopo il terremoto. E poi omicidi, omicidi, omicidi. A decine. A