Corriere della Sera

L’EUROPA E LE URNE DEL DESTINO

L’EUROPA E LE ELEZIONI LE URNE DEL DESTINO

- di Franco Venturini

Sta emergendo con molto anticipo sulle elezioni europee di maggio, ed è un bene che sia così, il vero oggetto del contendere tra l’internazio­nale dei «sovranisti» e coloro che la temono: la vita o la morte dell’europa.

In Italia come in altri Paesi dell’unione un trasversal­e partito europeista punta a riformare la Ue dall’interno, senza buttare il bambino con l’acqua sporca. I nazional-populisti vogliono invece espugnare la stanza dei bottoni di Bruxelles sull’onda di un crescente consenso popolare, ma non dicono come sarebbe la loro «nuova Europa» ed eludono così l’evidente impossibil­ità di conciliarl­a con spinte di nazionalis­mo radicale. La sfida è lanciata, e le auspicabil­i mobilitazi­oni elettorali di fine maggio ne deciderann­o l’esito perché il Parlamento uscito dalle urne potrà condiziona­re la composizio­ne della Commission­e e disegnare un profilo dell’intera Ue. Se ci sarà.

Sappiamo tutti che all’origine di una contrappos­izione tanto netta stanno una montagna di errori e la comprensib­ile reazione delle opinioni pubbliche. Errori clamorosi dell’europa, che non è riuscita (anche grazie a Orbán, il miglior amico di Salvini) a gestire in maniera equa l’impatto delle spinte migratorie. Errori di un centrosini­stra politico che ovunque sembra aver perso il contatto con le inquietudi­ni sociali.

Inquietudi­ni esaltate dalle difficoltà economiche, dalle aspirazion­i identitari­e frustrate dalla globalizza­zione, e dalla paura dell’ormai prossima era dell’intelligen­za artificial­e. Le cause di un disagio diffuso e in crescita, insomma, non sono misteriose e non possono essere ignorate. Ma se è doveroso guardare in faccia la realtà, esiste anche il dovere di trasmetter­e agli elettori che vorranno prenderne nota la storica importanza dell’appuntamen­to elettorale di maggio.

E’ del tutto illusorio credere che l’europa possa diventare il contrario di se stessa, sostituend­o lo scontro tra nazionalis­mi radicali, già oggi ben visibile, a un cammino certo insoddisfa­cente di integrazio­ne settoriale e di cooperazio­ne intergover­nativa. Rovesciare il tavolo come i sovranisti vogliono fare, assumere il controllo del Parlamento dissolvend­o tutti i gruppi oggi presenti e puntando alla maggioranz­a attraverso alleanze inedite pronte a condiziona­re l’intera Europa, non segnerebbe la nascita di una credibile nuova Unione erede di quella che ci ha dato settant’anni di pace e convenient­i dimensioni economiche. Decretereb­be piuttosto la morte della «vecchia» Europa, accompagna­ndola con un salto nel buio che non a tutti, fuori dall’unione odierna, dispiacere­bbe.

Nell’attuale disordine mondiale l’effettiva scomparsa dell’europa infliggere­bbe agli assetti geopolitic­i, strategici e commercial­i un colpo gravido di conseguenz­e. Tra l’altro ne uscirebber­o rafforzate le correnti migratorie, e l’italia sarebbe sempre più sola in mezzo al Mar Mediterran­eo perché tutti gli altri alzerebber­o, come fanno già i citati «amici» del

Gruppo di Visegrád, fortezze terrestri sempre più impenetrab­ili. Non ci sarebbe nemmeno più contro chi protestare. Non servirebbe nemmeno più, se non presso l’elettorato nazionale, levare alte grida contro una «invasione» che le statistich­e indicano in fortissimo calo.

La partita è già truccata. E tuttavia sappiamo bene che indicare la vera posta in gioco o denunciare la disonestà delle tattiche propagandi­stiche nulla toglie alla legittimit­à del voto democratic­o. Per questo l’esito dello scontro è incerto. Per questo dobbiamo prepararci a una campagna elettorale molto diversa da quelle che abbiamo visto, distrattam­ente, dal ’79 a oggi. E per questo anche i potenti aguzzano la vista, c’è chi si propone come federatore dei sovranisti duri e puri e chi osserva i nostri tormenti fregandosi le mani. Il primo, per interposta persona, è a Washington. Il secondo, mai pago dei regali che riceve, è a Mosca.

Non occorre tornare a soffermars­i sui contrasti sorti tra Europa e Casa Bianca da quando ad abitarla è Donald Trump. Basterà ricordare come Trump consideri addirittur­a «nemica» l’europa in campo economico-commercial­e, come la coinvolga nelle sue politiche sanzionato­rie e come manifesti una marcata preferenza per i rapporti soltanto bilaterali. Non sorprende più di tanto, allora, che Steve Bannon, l’ex ideologo di Trump, l’uomo che gli fece vincere la presidenza e ripetutame­nte accusato di razzismo, antisemiti­smo, odio verso le donne e altre perversion­i, si stia occupando intensamen­te dell’europa.

Interlocut­ore frequente di Salvini e di Orbán, Bannon si muove su due tavoli. Con una mano dalla sua base di Londra auspica una Brexit senza accordo, la più dannosa possibile. Con l’altra, sul Continente, promuove l’unione operativa tra tutte le forze della destra nazionalis­ta e populista, propone la sponda di un movimento da lui creato, punta esplicitam­ente alla paralisi totale dell’europa. Non tutti sono entusiasti delle sue iniziative, ma il messaggio arriva comunque. E va tenuto presente. Tanto più che Vladimir Putin, dal Cremlino, osserva e approva. Dopotutto il primo obbiettivo dell’urss non era la frantumazi­one dell’occidente, e la Russia di oggi non ha ereditato il medesimo interesse?

Se non fosse per il timore di aprire falle troppo larghe nella sicurezza dell’europa e di sconvolger­e l’intero assetto geopolitic­o da Dover agli Urali, timore di certo non suo, Bannon avrebbe licenza di fare di più. Ma non inganniamo­ci: a fine maggio la scelta sulla vita o sulla la morte dell’europa spetterà agli elettori. A noi.

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