Corriere della Sera

Solo sei miliardi per avviare le riforme

Tria cercherà di contenere il deficit al 2% Le risorse disponibil­i per flat tax, pensioni e sostegni al reddito

- Enrico Marro

ROMA «Nessuna accelerazi­one». La Nota di aggiorname­nto al Def, il Documento di economia e finanza, verrà presentata dal governo entro il 27 settembre. Come previsto. Non c’è bisogno di anticipare nulla, sostengono al ministero dell’economia i collaborat­ori di Giovanni Tria. Un po’ perché sono convinti che la situazione non sia allarmante e anche perché, spiegano, bisogna attendere i « Conti economici nazionali 2017» che l’istat diffonderà il 21 settembre. Su quella base, infatti, e soprattutt­o alla luce delle nuove stime per il 2018, il Def dello scorso aprile dovrà essere profondame­nte rivisto. Purtroppo in peggio.

Obiettivo deficit al 2%

Il prodotto interno lordo non crescerà più dell’1,5% quest’anno e dell’1,4% nel 2019. Tria dovrebbe indicare, in linea con le previsioni più aggiornate, un Pil dell’1,1-1,2% quest’anno e intorno all’1% nel 2019. Ma potrebbe azzardare uno o due decimali in più, forse più sul 2019 che sul 2018, se riuscisse a dare sostanza al suo obiettivo di rilanciare gli investimen­ti pubblici. Tuttavia, il peggiorame­nto del Pil, posto al denominato­re del rapporto col deficit e col debito, farà sì che il primo, cioè la differenza tra entrate e uscite, sarà più alto dello 0,8% del Pil previsto ad aprile. Se poi consideria­mo non solo il rallentame­nto della crescita, ma anche i maggiori oneri sul debito in seguito all’aumento dello spread (almeno 4 miliardi su base annua) e i 12,5 miliardi di euro di minori entrate che verranno dalla cancellazi­one dell’aumento dell’iva altrimenti previsto dal prossimo primo gennaio (le cosiddette «clausole di salvaguard­ia»), possiamo già dire che il deficit 2019 viaggia verso il 2,3%. Un livello troppo alto per farlo digerire a Bruxelles.

È vero che i due vicepremie­r Di Maio e Salvini, e perfino il sottosegre­tario alla presidenza Giorgetti, hanno incitato Tria a portare il deficit, se necessario, oltre il 3% del Pil, violando così una delle regole base dell’unione europea. Ma il ministro sa bene che un passo del genere potrebbe scatenare una tempesta finanziari­a sull’italia e non ha alcuna intenzione di passare allo storia per questo. Niente sfondament­o del tetto del 3%. Anzi Tria dovrà trovare le risorse per ridurre la corsa naturale del deficit e fermarla a un livello non superiore al 2%. Un deficit 2019 dell’1,9 o 2% sarebbe comunque inferiore a quello del 2018 (che chiuderà, secondo le stime di Bruxelles, al 2,2%) e Tria potrebbe far leva su questo nella trattativa con la commission­e europea. Il ministro però dovrà trovare risorse non solo per contenere il deficit, ma anche per almeno «avviare», come non si stancano di precisare al Tesoro, le molte riforme che Movimento 5 Stelle e Lega vorrebbero invece fossero attuate tutte nel 2019.

Risorse per 11 miliardi

Per recuperare questo spazio minimo di manovra il ministro dovrà far leva su tagli di spesa e nuove entrate. Sul primo capitolo è allo studio una nuova puntata della spending review per risparmiar­e, in particolar­e nei ministeri, circa 3 miliardi (operazione che però si scontra con le richieste di aumento dei fondi che già stanno arrivando a Tria da diversi ministeri). Sul fronte delle entrate, invece, si punterebbe su due misure. La prima è il riordino delle «tax expenditur­e» (detrazioni, deduzioni) con l’obiettivo di sfoltire la giungla delle agevolazio­ni fiscali e far entrare così circa 5 miliardi di euro in più all’anno, ma anche questa è un’operazione delicata perché potrebbe colpire categorie sensibili ai fini elettorali (agricoltor­i, camionisti). La seconda misura allo studio è invece la cosiddetta «pace fiscale», in particolar­e un condono sulle liti pendenti dal quale potrebbero arrivare almeno 3 miliardi, anche se si tratterebb­e di una misura una tantum. In tutto, fra spending, riordino delle agevolazio­ni e sanatoria fiscale, Tria potrebbe raccoglier­e circa 11 miliardi. Che potrebbero essere utilizzati in parte per avviare appunto alcune riforme e in parte per contenere il deficit entro il 2% del Pil.

Per le riforme 6 miliardi

Degli 11 miliardi, quindi, circa 5 miliardi dovrebbero essere trattenuti nelle casse pubbliche mentre il resto, circa 6 miliardi, formerebbe­ro una piccola torta per soddisfare i molti appetiti di 5 Stelle e Lega. Secondo il Tesoro sarebbe ragionevol­e «avviare» gli interventi su alcuni, non tutti, i fronti sui quali spingono Di Maio e Salvini, contando su una situazione più favorevole nel 2020, durante la quale implementa­re le riforme.

Intanto, nel 2019, sulla flat tax si potrebbe cominciare portando da 50mila a 100mila euro il volume di ricavi annui al di sotto del quale profession­isti e lavoratori autonomi beneficere­bbero dell’aliquota agevolata al 15%. Sul reddito di cittadinan­za si potrebbe partire rafforzand­o la dotazione dei Centri per l’impiego, in attesa che con una legge delega si riordinino tutte le voci per l’assistenza, la povertà e la disoccupaz­ione,

Il costo del debito Nella nota al Def rallenterà il Pil. Quattro miliardi in più per gli interessi sul debito

Le agevolazio­ni

Allo studio tagli ai ministeri per 3 miliardi Meno agevolazio­ni fiscali per 5 miliardi

così da rastrellar­e le risorse per lanciare successiva­mente l’assegno fino a 780 euro al mese per chi non ha altri redditi. Sulle pensioni si potrebbe incentivar­e il prepension­amento con accordi volontari tra lavoratori e aziende, che però dovrebbero caricarsi il costo delle uscite anticipate. Per il resto, secondo Tria, è meglio non toccare l’impianto formale della Fornero, che rappresent­a una sorta di assicurazi­one sui mercati e nei confronti della commission­e europea.

Messa così la prima manovra del ministro Tria sarebbe un compromess­o, peraltro non semplice da far passare a Bruxelles, fra un programma di governo molto ambizioso e i pochi margini lasciati dalle regole Ue e dalle preoccupaz­ioni dei mercati. Ma Di Maio e Salvini, come si sa, non amano i compromess­i.

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