Corriere della Sera

Tripoli fuori controllo. Colpi vicino all’ambasciata italiana

Sette giorni di scontri, 45 morti, aeroporto chiuso. Si muove la diplomazia. L’avanzata di Haftar

- Lorenzo Cremonesi

Escalation

● Da una settimana a Tripoli sono ripresi pesanti scontri tra le milizie. I morti sono 45, i feriti oltre 200. A far precipitar­e la situazione, l’avanzata di brigate di Haftar, l’uomo forte di Bengasi, verso la capitale

Precipita la situazione a Tripoli. Dopo una settimana di intensific­azione dei combattime­nti tra milizie, non è più certo che il governo di Unità nazionale del premier Fayez Serraj sia in grado di tenere il controllo della capitale. «Il problema grave non sono neppure più gli scontri tra milizie. Da meno di 48 ore siamo terrorizza­ti dai colpi di mortaio, apparentem­ente sparati a caso nel cuore dei quartieri abitati. Nessuno è al sicuro», ci raccontano dalla stampa locale. Il bilancio delle vittime è in continua crescita. Tra 40 e 45 i morti in sette giorni, di cui almeno una quindicina civili. I feriti sarebbero oltre 200. Gli ospedali sono in allarme rosso, come ai tempi della sollevazio­ne assistita dalla Nato contro il regime di Gheddafi nel 2011.

Non è chiaro però se anche la granata di mortaio che ieri all’alba è caduta a meno di 150 metri dall’ambasciata italiana sia casuale o meno. Il colpo è deflagrato, causando almeno 3 feriti, al quarto piano dello Al Waddan, noto hotel utilizzato in passato anche dal personale dell’ambasciata e dove non è raro tutt’ora incontrare italiani. Non sembra vi siano comunque vittime italiane negli ultimi scontri. Lo stabile dell’ambasciata è presidiato dalla polizia locale, che ha rafforzato la presenza dai tempi dell’autobomba esplosa nella zona nel gennaio 2017.

Certo è che la crisi sta degenerand­o. Al punto tale che i governi italiano, francese, britannico e statuniten­se hanno diffuso un comunicato congiunto di condanna «agli attacchi indiscrimi­nati contro la popolazion­e civile espressame­nte vietati dal Diritto Internazio­nale». Si fa appello a non pregiudica­re il piano delle Nazioni Unite «mirato a stabilizza­re il Paese».

Da ieri lo scalo dell’aeroporto è chiuso per almeno 48 ore. Come già in passato, il traffico aereo viene dirottato su quello di Misurata. Questa nuova ondata di violenze è ripresa il 25 agosto con l’avanzata verso il centro di Tripoli della Settima Brigata di Tarhuna, guidata dal leader locale Salah Badi. Tarhuna è una nota zona di tribù, una settantina di chilometri a sud di Tripoli che una volta erano legate al clan Gheddafi e oggi si sono avvicinate al campo di Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica deciso a controllar­e l’intero Paese. Per fermarli, dopo una lunga serie di cessate il fuoco falliti, Serraj sta cercando di unire le milizie di Misurata e Zintan per creare una forza di interposiz­ione. Ma le frizioni tra le due sono antiche e virulente. Oltretutto anche Misurata è divisa. In proposito, pare che ieri vi sia stato rapito il generale Mohammad Haddad, uno dei capi delle fazioni che sono disposte a mobilitare per proteggere Serraj.

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