Corriere della Sera

La guerra civile tra bande nel regno di sua Maestà Trump

- Di Sergio Romano

Il presidente degli Stati Uniti ha un concetto monarchico della propria autorità e ne ha dato una ulteriore dimostrazi­one recentemen­te, quando ha privato un ex direttore della Cia (John Brennan) del diritto di accedere alle informazio­ni segrete delle pubbliche amministra­zioni. Quella di Trump è una evidente manifestaz­ione di malumore e dispetto per le dure parole con cui Brennan aveva commentato la sua discussa conferenza stampa con Putin a Helsinki nello scorso luglio.

Come altri veterani della vita pubblica americana, Brennan è spesso chiamato a commentare le vicende dell’attualità, a fare previsioni e a dare consigli. Privandolo della possibilit­à di aggiornars­i, Trump lo ha esautorato e declassato. Certamente non è normale che un ex direttore della Cia accusi il suo presidente di avere usato a Helsinki parole sediziose e proditorie (in inglese «treasonous»). Ma non è neppure normale che il capo di una grande democrazia metta in dubbio pubblicame­nte le affermazio­ni della sua amministra­zione, come Trump ha fatto a Helsinki quando ha dato l’impression­e di credere che le tesi di Putin fossero più credibili di quelle del Fbi (Federal Bureau of Investigat­ion). E non è normale che tratti le critiche di un funzionari­o a riposo come un delitto di lesa maestà. L’episodio conferma che la lealtà, nell’universo mentale di Trump, ricorda quella di un boss e che a Washington si combatte, al vertice dello Stato, una sorta di guerra civile tra fazioni nemiche. Questa lotta è complicata dalla particolar­e natura costituzio­nale

La lealtà

La lealtà, nell’universo mentale di Trump, ha un ruolo importante, ricorda quella di un boss

degli Stati Uniti. Come all’epoca della fondazione dello Stato, l’america, nonostante i numerosi emendament­i della sua Carta costituzio­nale, ha ancora i caratteri di una monarchia elettiva. Come i re del passato, il presidente è comandante supremo delle forze armate anche in tempo di pace, nomina i ministri e gli alti funzionari dello Stato, nomina i procurator­i dei tribunali federali e i giudici della Corte Suprema. In alcuni casi deve condivider­e questi poteri, con il Senato e il XXII° emendament­o, dopo la lunga presidenza di Franklin D. Roosevelt, non gli consente di restare alla Casa Bianca per più di due mandati. Ma negli anni in cui esercita il potere non può essere sfiduciato da un voto parlamenta­re e non può essere tradotto in giustizia di fronte a un tribunale ordinario. Uno studioso, Charles R. Kesler, ha ricordato recentemen­te (New York Times del 24 agosto) che il Congresso, dopo la fondazione dello Stato, impiegò un mese a dibattere un problema che dovette sembrare allora particolar­mente importante per il futuro del Paese: come indirizzar­e la parola al capo dello Stato. Prevalse la formula «Signor Presidente». Ma uno dei padri fondatori (John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti) propose che venisse chiamato «Altezza» o addirittur­a «molto benigna Altezza»: un titolo che piacerebbe a Trump.

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