La guerra civile tra bande nel regno di sua Maestà Trump
Il presidente degli Stati Uniti ha un concetto monarchico della propria autorità e ne ha dato una ulteriore dimostrazione recentemente, quando ha privato un ex direttore della Cia (John Brennan) del diritto di accedere alle informazioni segrete delle pubbliche amministrazioni. Quella di Trump è una evidente manifestazione di malumore e dispetto per le dure parole con cui Brennan aveva commentato la sua discussa conferenza stampa con Putin a Helsinki nello scorso luglio.
Come altri veterani della vita pubblica americana, Brennan è spesso chiamato a commentare le vicende dell’attualità, a fare previsioni e a dare consigli. Privandolo della possibilità di aggiornarsi, Trump lo ha esautorato e declassato. Certamente non è normale che un ex direttore della Cia accusi il suo presidente di avere usato a Helsinki parole sediziose e proditorie (in inglese «treasonous»). Ma non è neppure normale che il capo di una grande democrazia metta in dubbio pubblicamente le affermazioni della sua amministrazione, come Trump ha fatto a Helsinki quando ha dato l’impressione di credere che le tesi di Putin fossero più credibili di quelle del Fbi (Federal Bureau of Investigation). E non è normale che tratti le critiche di un funzionario a riposo come un delitto di lesa maestà. L’episodio conferma che la lealtà, nell’universo mentale di Trump, ricorda quella di un boss e che a Washington si combatte, al vertice dello Stato, una sorta di guerra civile tra fazioni nemiche. Questa lotta è complicata dalla particolare natura costituzionale
La lealtà
La lealtà, nell’universo mentale di Trump, ha un ruolo importante, ricorda quella di un boss
degli Stati Uniti. Come all’epoca della fondazione dello Stato, l’america, nonostante i numerosi emendamenti della sua Carta costituzionale, ha ancora i caratteri di una monarchia elettiva. Come i re del passato, il presidente è comandante supremo delle forze armate anche in tempo di pace, nomina i ministri e gli alti funzionari dello Stato, nomina i procuratori dei tribunali federali e i giudici della Corte Suprema. In alcuni casi deve condividere questi poteri, con il Senato e il XXII° emendamento, dopo la lunga presidenza di Franklin D. Roosevelt, non gli consente di restare alla Casa Bianca per più di due mandati. Ma negli anni in cui esercita il potere non può essere sfiduciato da un voto parlamentare e non può essere tradotto in giustizia di fronte a un tribunale ordinario. Uno studioso, Charles R. Kesler, ha ricordato recentemente (New York Times del 24 agosto) che il Congresso, dopo la fondazione dello Stato, impiegò un mese a dibattere un problema che dovette sembrare allora particolarmente importante per il futuro del Paese: come indirizzare la parola al capo dello Stato. Prevalse la formula «Signor Presidente». Ma uno dei padri fondatori (John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti) propose che venisse chiamato «Altezza» o addirittura «molto benigna Altezza»: un titolo che piacerebbe a Trump.