Corriere della Sera

Generazion­e geniale cercasi: sarebbe utile

- di Beppe Severgnini

Resto spesso incantato davanti a Techeteche­tè, il programma Rai composto da frammenti d’archivio di vecchi programmi. Credo sia una questione d’età: certe immagini e certi suoni sono detonatori di ricordi. Venerdì — complice il temporale, quando l’agosto lombardo saluta un bang!, e annuncia la fine dell’estate — ho seguito su Canale 5 il tributo a Lucio Dalla. E ho pensato: ma quanto era bravo. Lui come altri cantautori con cui siamo cresciuti: Battisti, Guccini, Battiato, Fossati, De Gregori, Baglioni, Vecchioni, Venditti, Renato Zero.

Poi, per curiosità, sono andato a controllar­e le date di nascita: sono tutti venuti al mondo nel giro di otto anni, tra il 1943 e il 1951. Non penso, stavolta, d’essere ingannato dalla biografia e dalla nostalgia: stiamo parlando di una generazion­e eccezional­e. Qualcosa del genere era accaduto nel giornalism­o: il periodo magico è stato nei primi anni del ‘900. Longanesi, Montanelli, Barzini Jr, Buzzati, Soldati e Flaiano sono nati tutti nel giro di cinque anni, tra il 1905 e il 1910. Solo una coincidenz­a?

Ho trovato la risposta in La geografia del genio di Eric Weiner. Perché alcuni luoghi e momenti hanno prodotto tanto in poco tempo? Il caso più clamoroso è Firenze. Il 25 gennaio 1504 nella stessa stanza sedevano Leonardo, Michelange­lo, Botticelli, Filippo Lippi e altri di quel calibro: dovevano scegliere un luogo «convenient­e e ardito» dove mostrare il David. Perché Firenze? Venezia aveva un porto e una popolazion­e tre volte superiore; Milano era più potente, Roma più gloriosa. La risposta sta in una frase di Platone: «Ciò che è onorato in un Paese, vi sarà coltivato». Firenze onorava l’arte, la bellezza e i commerci, che servivano a pagarle. Chi voleva coltivare queste cose veniva incoraggia­to, fin da giovanissi­mo. La generazion­e dei grandi giornalist­i, negli anni 30, ha trovato nel fascismo una sfida (il genio è sempre la risposta a una sfida); e una gratificaz­ione profession­ale e sociale.

La generazion­e dei grandi cantautori, negli anni 70, ha trovato un’italia inquieta ma attenta, che cercava chi mettesse in musica quell’inquietudi­ne. In cambio offriva stima, attenzione e denari: i dischi si vendevano, allora.

E adesso? Si sta formando una generazion­e geniale, in qualche campo? Se così fosse, ce lo faccia sapere, perché avremmo bisogno di lei. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

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