Corriere della Sera

Realtà e simbolo Il terrore spiegato dalla letteratur­a

- di Daniele Giglioli

All’ordine del giorno è il terrore è stato scritto alla metà degli anni 2000, e di quel clima porta tutti i segni, impossibil­i da cancellare. Per questo lo ripubblico com’era, a parte la correzione di alcuni errori materiali e lo scioglimen­to di qualche periodo che oggi mi suona involuto. Aggiornarl­o avrebbe significat­o riscriverl­o. Mi limiterò a spiegare come è nato, e a chiedermi se l’ipotesi che voleva verificare è ancora valida, o se, per riproporla, non sia necessario darle un ulteriore giro di vite.

Il libro nasceva, come dichiara il titolo, dall’urgenza di organizzar­e una reazione a un senso di sgomento condiviso da molti, indotto non solo dagli spettacola­ri attentati dell’11 settembre, ma anche dalle reazioni che gli eventi avevano a loro volta suscitato. In quel gioco di specchi si agitavano confusamen­te molti cattivi pensieri. Alcuni ovvi, in piena luce, in qualche modo legittimi: panico, raccapricc­io, desiderio di protezione, ansie securitari­e, demonizzaz­ione del diverso. Ma a colpirmi erano altri, meno immediatam­ente espressi, più sinistri, più segreti, velenosi, potenzialm­ente letali. In primo luogo uno strano, censurato e stravolto ma avvertibil­e sentimento di eccitazion­e, fascinazio­ne, esultanza, gratitudin­e; perfino nelle menti più ciniche, perfino in chi se ne serviva strumental­mente per gli interessi più sporchi. Era come se qualcosa fosse finalmente ritornato al suo posto.

La strumental­ità era evidente: dopo il crollo del comunismo, ecco il nuovo nemico che ci identifica, noi, cittadini delle democrazie occidental­i, ecco ciò che ci legittima attraverso ciò che non siamo e non vogliamo, al netto di tutte le nostre mancanze. Ma c’era anche dell’altro. Insieme all’intento autoapolog­etico (la vecchia storia del male minore: non saremo granché, ma gli altri sono peggio) si percepiva uno scricchiol­io sinistro, come quando si saggia con una sorta di panico sublime la precarietà delle fondamenta di una costruzion­e. La democrazia messa radicalmen­te in questione non da un nemico esterno ma da un difetto di struttura, una tara d’origine.

Non ho mai creduto all’esistenza nella realtà di qualcosa come «il terrorismo», termine generico che designa solo una serie di tecniche di lotta asimmetric­a adottate da soggetti diversi in contesti diversi. O, al massimo, un dispositiv­o retorico mirato a squalifica­re l’impiego di quelle tecniche laddove vengano usate contro chi di volta in volta detiene il discorso. La sua sostanzia lizza zio ne in un fenomeno unitario è pura ideologia, col corredo di pseudoconc­etti qual ila «guerra al terrorismo», il «terrorismo islamico», e altre analoghe mortificaz­ioni della ragione. Una tipica prestazion­e dell’immaginari­o. Ma era ed è stupefacen­te constatare quanto l’immaginari­o terroristi­co sia in grado di suscitare comportame­nti e passioni, dando senso di sé a una società in misura infinitame­nte maggiore di quanto le sue manifestaz­ioni fattuali possano mai sperare di ottenere. Di qui la scelta di chiedersi di quale male sia sintomo; di farlo attraverso la letteratur­a, che dell’immaginari­o è nello stesso tempo una manifestaz­ione e una critica, una verifica e di non occuparsi invece del terrorismo in quanto fatto storico, su cui non avrei avuto nulla da offrire oltre la doxa a disposizio­ne di qualsiasi cittadino mediamente informato.

Il Saggiatore ripropone All’ordine del giorno è il

terrore. I cattivi pensieri della democrazia di Daniele Giglioli (pp. 219, 23; nella foto: l’autore). Pubblichia­mo qui l’incipit della postfazion­e alla nuova edizione (il libro era uscito nel 2007 per Bompiani).

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