Realtà e simbolo Il terrore spiegato dalla letteratura
All’ordine del giorno è il terrore è stato scritto alla metà degli anni 2000, e di quel clima porta tutti i segni, impossibili da cancellare. Per questo lo ripubblico com’era, a parte la correzione di alcuni errori materiali e lo scioglimento di qualche periodo che oggi mi suona involuto. Aggiornarlo avrebbe significato riscriverlo. Mi limiterò a spiegare come è nato, e a chiedermi se l’ipotesi che voleva verificare è ancora valida, o se, per riproporla, non sia necessario darle un ulteriore giro di vite.
Il libro nasceva, come dichiara il titolo, dall’urgenza di organizzare una reazione a un senso di sgomento condiviso da molti, indotto non solo dagli spettacolari attentati dell’11 settembre, ma anche dalle reazioni che gli eventi avevano a loro volta suscitato. In quel gioco di specchi si agitavano confusamente molti cattivi pensieri. Alcuni ovvi, in piena luce, in qualche modo legittimi: panico, raccapriccio, desiderio di protezione, ansie securitarie, demonizzazione del diverso. Ma a colpirmi erano altri, meno immediatamente espressi, più sinistri, più segreti, velenosi, potenzialmente letali. In primo luogo uno strano, censurato e stravolto ma avvertibile sentimento di eccitazione, fascinazione, esultanza, gratitudine; perfino nelle menti più ciniche, perfino in chi se ne serviva strumentalmente per gli interessi più sporchi. Era come se qualcosa fosse finalmente ritornato al suo posto.
La strumentalità era evidente: dopo il crollo del comunismo, ecco il nuovo nemico che ci identifica, noi, cittadini delle democrazie occidentali, ecco ciò che ci legittima attraverso ciò che non siamo e non vogliamo, al netto di tutte le nostre mancanze. Ma c’era anche dell’altro. Insieme all’intento autoapologetico (la vecchia storia del male minore: non saremo granché, ma gli altri sono peggio) si percepiva uno scricchiolio sinistro, come quando si saggia con una sorta di panico sublime la precarietà delle fondamenta di una costruzione. La democrazia messa radicalmente in questione non da un nemico esterno ma da un difetto di struttura, una tara d’origine.
Non ho mai creduto all’esistenza nella realtà di qualcosa come «il terrorismo», termine generico che designa solo una serie di tecniche di lotta asimmetrica adottate da soggetti diversi in contesti diversi. O, al massimo, un dispositivo retorico mirato a squalificare l’impiego di quelle tecniche laddove vengano usate contro chi di volta in volta detiene il discorso. La sua sostanzia lizza zio ne in un fenomeno unitario è pura ideologia, col corredo di pseudoconcetti qual ila «guerra al terrorismo», il «terrorismo islamico», e altre analoghe mortificazioni della ragione. Una tipica prestazione dell’immaginario. Ma era ed è stupefacente constatare quanto l’immaginario terroristico sia in grado di suscitare comportamenti e passioni, dando senso di sé a una società in misura infinitamente maggiore di quanto le sue manifestazioni fattuali possano mai sperare di ottenere. Di qui la scelta di chiedersi di quale male sia sintomo; di farlo attraverso la letteratura, che dell’immaginario è nello stesso tempo una manifestazione e una critica, una verifica e di non occuparsi invece del terrorismo in quanto fatto storico, su cui non avrei avuto nulla da offrire oltre la doxa a disposizione di qualsiasi cittadino mediamente informato.
Il Saggiatore ripropone All’ordine del giorno è il
terrore. I cattivi pensieri della democrazia di Daniele Giglioli (pp. 219, 23; nella foto: l’autore). Pubblichiamo qui l’incipit della postfazione alla nuova edizione (il libro era uscito nel 2007 per Bompiani).