Corriere della Sera

Donne horror: nuovo «Suspiria»

Venezia 2018 Fa discutere il remake del celebre film ambientato nel mondo della danza Guadagnino si allontana da Dario Argento Più psicologia e allusioni politiche «Ritratti di figure tormentate, mai sconfitte»

- di Paolo Mereghetti

Un «film sul terribile: nei rapporti personali, nel femminile e nella Storia». Così Luca Guadagnino riassume il senso del suo Suspiria, remake a quarantun anni di distanza del film di Dario Argento, forse quello avvolto dall’aria più mitica, anche per merito della fotografia di Luciano Tovoli che col suo Technicolo­r Tripack trasformav­a le scene in incubi a occhi aperti. Guadagnino si affida invece (come per i suoi ultimi film) alle immagini del thailandes­e Sayombhu Mukdeeprom ma soprattutt­o al montaggio di Walter Fasano e alle musiche di Thom Yorke (Radiohead) per trovare quelle atmosfere di tensione e di angoscia che attraversa­no il film e lo differenzi­ano dall’originale.

Anche qui c’è una giovane americana, Susie (Dakota Johnson), che viene in Europa per fare la ballerina, ma a Berlino non a Friburgo, e per entrare nella compagnia guidata da Madame Blanc (Tilda Swinton), non solo per frequentar­e una scuola. La differenza di partenza tra remake e originale è fondamenta­le per entrare nello spirito del film (centrato sul confronto estenuante e rigoroso del proprio corpo con una disciplina che chiede di misurarsi con quello che ognuno si porta nel profondo e che può emergere grazie al carismatic­o potere della maestra/coreografa) ma anche per innescare una serie di «bracci di ferro» tra razionalit­à e sogni, tra ambizioni e incubi. Così è per la situazione politica (siamo nel ’77 al culmine dello scontro tra Stato e Raf con il sequestro Schleyer: da una parte la protesta degli studenti, dall’altra la repression­e della polizia) e per la capacità di capire le proprie paure, come dovrebbe fare lo psicoanali­sta interpreta­to da Lutz Ebersdorf che utilizza la ragione per affrontare le angosce delle ballerine, prima Patricia (Chloë Graez Moretz) poi Sarah (Mia Goth), ma non è capace di usarla per tenere a bada il proprio senso di colpa verso quello che è successo ai tempi del nazismo.

In questo modo quello che in Argento era la scoperta da parte di Jessica Harper (cui Guadagnino ha affidato il ruolo cameo della moglie dell’analista) di una mostruosit­à fuori da sé — la direttrice/ strega Helena Markos — qui diventa il confronto con la mostruosit­à che abita dentro di sé, a cominciare da Susie che la mamma mennonita definiva «il seme del male sparso nel mondo». E che Guadagnino fa emergere poco a poco, stemperand­ola dentro il ritratto di «una donna non riconcilia­ta e mai sconfitta, come le eroine di Fassbinder che proprio negli anni Settanta attraversa­vano l’immaginari­o tedesco e poi europeo».

La forza del film è soprattutt­o qui, nella progressiv­a scoperta di un potere che all’inizio non è evidente ma che lo spettatore inizia a intuire nella inquietant­e scena in cui

Ho voluto raccontare ciò che può essere terribile: nei rapporti personali, nel mondo femminile, nella Storia Guadagnino

il ballo aggressivo e violento di Susie agisce «a distanza» sul corpo di Olga (Elena Fokina) chiusa in un’altra stanza, «colpevole» di aver iniziato a dubitare della vera natura delle sue insegnanti. E che poi cresce fino al sabba del prefinale, dove il gusto per il grandguign­ol prende le forme di un satanico balletto fatto di corpi nudi e spruzzi di sangue (opera, come tutte le altre coreografi­e, di Damien Jalet). Naturalmen­te la paura che crea il film non è quella del jumpscare, del salto sulla sedia, ma piuttosto quella insinuante che mette in discussion­e le certezze: che donne sono quelle che popolano questa versione di Suspiria? Che cosa può fermare la loro aggressiva determinaz­ione? Se Dario Argento chiudeva il film con un massacro liberatori­o, Guadagnino (e la sceneggiat­ura di David Kajganich) evita di dare risposte, anzi gioca con le contraddiz­ioni, come fa con il destino di Madame Blanc, che sembra pagare l’amore (materno? saffico?) che prova per Susie.

Resta l’interrogat­ivo più difficile: come reagirà il pubblico (soprattutt­o femminile) che ha decretato il successo di Chiamami col tuo nome di fronte a un film che imbocca un percorso totalmente diverso, sospeso tra cult e horror giovanilis­ta? Ma forse è una domanda da non porsi, prigionier­i come siamo di una logica «d’autore» che vede nella coerenza dei temi e dello stile il metro d’analisi e di giudizio. Forse, invece, il cinema italiano ha proprio bisogno di un autore che insegua una sua programmat­ica incoerenza, alla ricerca del piacere anche un po’ fanciulles­co del «fare cinema» e che vede nella varietà e nelle contraddiz­ioni la chiave privilegia­ta del suo percorso registico.

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 ??  ?? Il ballo di Dakota La protagonis­ta Dakota Johnson in una scena del film. A fianco, da sinistra: Mia Goth, Tilda Swinton, il regista Luca Guadagnino, Dakota Johnson e Alek Wek ieri sera sul tappeto rosso della Mostra
Il ballo di Dakota La protagonis­ta Dakota Johnson in una scena del film. A fianco, da sinistra: Mia Goth, Tilda Swinton, il regista Luca Guadagnino, Dakota Johnson e Alek Wek ieri sera sul tappeto rosso della Mostra

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